Ci sono uomini che sembrano nascere per portare avanti una missione. Nonostante tutto. Anche a costo della vita.
L’attivista e politico russo Aleksej Naval’nyj, dal momento in cui ha sentito su di sé la possibilità di essere un chiaro riferimento per gli oppositori del regime putiniano, si è identificato con il suo ruolo, al punto da farlo coincidere con la sua stessa esistenza.
Salvato in extremis e in modo rocambolesco dopo un avvelenamento mortale mentre era in volo, poteva continuare la sua battaglia di libertà fuori dalla Russia, e invece sceglie di tornare in patria, consapevole che sarebbe stato arrestato. Come è stato. E la sua prigionia è divenuta da subito la “cronaca di una morte annunciata”, per luoghi e condizioni di detenzione. Fino a quella colonia penale artica dove si è conclusa l’operazione di annientamento fisico del dissidente Naval’nyj. Il cui corpo, testimone parlante di quanto avvenuto, non viene per ora consegnato alla famiglia.
Il suo testamento civile, di cui si fa portavoce la moglie Julia con incredibile forza morale, sta tutto nel documentario “Navalny”, Premio Oscar 2023, in cui l’attivista diceva: “Se dovessi essere ucciso, non arrendetevi“.
Cara Es,
ma la cecità imperversa,
come ben evidenzia l’intervista della studentessa italiana che difende Putin…
Inquieta e non poco che siano non pochi i sostenitori di un carnefice.