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Archive for the ‘Attualità’ Category

A sorpresa ha sbancato agli Oscar 2023, e con le statuette più “pesanti”, ben sette. È il film “Everything Everywhere All At Once”, chiamato dagli americani EEAAO.

Tre i capitoli, gli stessi che danno il titolo al film: Everything, ogni cosa, Everywhere, dappertutto, All At Once, tutto in una volta. Con la protagonista Evelyn (Michelle Yeoh da Oscar), una donna cinese americana pressata dai problemi economici, e per questi vessata da un’implacabile ispettrice delle tasse (Jamie Lee Curtis da Oscar), che un po’ “Alice” un po’ “Matrix” attraversa lo spazio e il tempo, diventando suo malgrado una wonderwoman, con molteplici versioni di se stessa, dalla star del cinema a una chef giapponese, nonché di suo marito (Ke Huy Quan da Oscar). Ritrovandosi in un bailamme di suoni, immagini, Internet, caos, altro, velocità, consumo, arti marziali, superpoteri. In breve nel “multiverso”. Ovvero nell’immaginario di una Hollywood indipendente, quella dei visionari registi e sceneggiatori da Oscar Daniel Kwan e Daniel Scheinert.

Tutto vorticoso (montaggio da Oscar di Paul Rogers), apparentemente di superficie, ma con implicazioni etico-riflessive spiazzanti.

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Premesso che da giorni in tanti si ha il mare scuro e luttuoso di Cutro in testa e nel cuore.

Premesso che ogni parola a riguardo sembra insufficiente e irrispettosa.

Premesso che la presenza silenziosa (vedi Presidente Mattarella) è spesso l’unico modo per esserci davvero.

Premesso che ciascuno è libero di esprimersi (senza fastidiare gli altri), anche per festeggiare il proprio genetliaco.

Una semplice domanda. Era proprio necessario, nei giorni dolorosi di Cutro, esercitarsi in un karaoke social di privato compleanno, da rappresentante (con carica pubblica che non va a riposo, né serale né festivo) delle istituzioni?

Less is more. Affinché a “cantare” siano intelligenza ed eleganza. Almeno in certe occasioni.

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Un tempo si sperava che “8 marzo”, cioè attenzione nei confronti delle donne, fosse ogni giorno dell’anno.

Ora ci si augura che lo sia ovunque nel mondo. Almeno per ventiquattro ore.

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Nati nel marzo 1943, a poche ore l’uno dall’altro. Lucio Dalla il 4 marzo, Lucio Battisti il 5 marzo.

Due “pietre d’angolo” della musica italiana, Battisti schivo, Dalla estroso. Uno reatino col canto libero dentro, l’altro bolognese col mare nel cuore. Entrambi con la capacità, rara nella cosiddetta “canzone leggera”, di muovere poesia attraverso le note.

“Luce” in musica, come il loro nome segnò fin dall’inizio. Consegnandoci “Emozioni”, “là dove il mare luccica“…

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L’attenzione è sempre selettiva, quindi spesso migrante.

Annegare a centro metri dalla riva sembra poco fatale. Ci sarà da comprendere. Nel frattempo riflettiamo e preghiamo. A testa bassa (con un po’ di vergogna).

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Che tristezza scriverne al passato…

Maurizio Costanzo è un pezzo di ciascuno di noi che se ne va. La sua presenza (e come tutti i grandi non ne concepisci l’assenza) era costante (nomen omen), affabile e acuta insieme, sorniona e cinica, da autentico romano. Un po’ Alberto Sordi (con cui condivide dopo vent’anni esatti l’uscita di scena), un po’ Ennio Flaiano (per la capacità di sintetizzare in aforismi i concetti), tanto Maurizio Costanzo. Ossia la caratteristica caleidoscopica di muoversi agilmente su più tavoli comunicativi: la scrittura di canzoni (“Se telefonando” su musica di Morricone resta un gioiello), di film (quel capolavoro di sensibilità altra che è “Una giornata particolare” di Ettore Scola), di libri (numerosi, con “Smemorabilia” autentica chicca intorno agli oggetti perduti, dal telefono a gettoni al calcio balilla).

Ma è la televisione il medium in cui da pioniere (“Bontà loro” con la fatidica domanda sul “Cosa c’è dietro l’angolo?”) diventa abilissimo cerimoniere e poi maestro di ascolto pubblico e privato in quello che fu poi definito talk show. La sua intuizione furono gli ospiti seduti da intervistare, seguendoli però con incalzante acume nei loro racconti, fino a porre in luce aspetti sconosciuti nei già conosciuti e a far diventare conosciuti quelli del tutto sconosciuti (un’altra sua dote fu quella da talent scout). E il “Maurizio Costanzo Show” diviene marchio di fabbrica e palcoscenico istituzionale. Chi “passava” lí (con temuta passerella finale) poteva raggiungere, se coglieva in modo arguto l’occasione, l’agognato riconoscimento.

Chiacchiericcio leggero, note musicali, segreti a tratti smascherati, battute fulminanti, collegamenti inusitati tra ospiti, feroci duelli, e poi lui, Maurizio Costanzo a dirigere l’orchestra di parole. Con lo sgabello alle spalle degli ospiti del Teatro Parioli. Quasi psicanalista di una collettiva seduta di gruppo, in cui tutto era possibile. Anche affrontare con coraggio e spessore temi civili quali la mafia. Senza sconti, a viso aperto, decretandone peraltro l’attentato, per miracolo fallito, a lui e alla moglie Maria De Filippi.

È stata lei, Queen Mary, la sua più importante scoperta, pubblica e privata. Con un connubio lungo trent’anni, in cui la condivisione di affetti e interessi li ha resi la coppia catodica per eccellenza, scoprendo nuovi talenti (si pensi solo ai cantanti Emma Marrone e Irama e altri usciti da “Amici” di Maria) e lavorando sempre sul linguaggio televisivo.

Il sipario che scende su Maurizio Costanzo ci coglie impreparati. Seppur quanto da lui inventato resti anche a sipario chiuso. Grazie.

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I bambini hanno un naturale dono di sintesi. In questo disegno “bambino”, ma solo per l’età dell’autore, l’assurdo della guerra prende forma e colore. Una casetta in fiamme per le bombe sganciate da un aereo in sorvolo, un carrarmato che spara e spiana, un corpo a terra invaso dal sangue. Tutto, nella sua semplicità, è già presente: la forza militare che irrompe e devasta, la vita civile che soccombe all’orrore.

Così quella putiniana “operazione speciale” del 24 febbraio 2022 si è rivelata subito per quanto di “speciale”, cioè “fuori norma”, portava con sé: un atto prepotente di invasione nei confronti di uno Stato sovrano, una rapida “operazione chirurgica” per  eliminare il Presidente Zelensky al fine di assoggettare a sé l’Ucraina. Sottovalutando però la determinazione e il coraggio del popolo ucraino nel difendere la propria terra.

Sarà Bucha, e l’orrore delle sue fosse comuni, a rendere evidente non solo più la guerra ma il suo crimine: le torture e le uccisioni sommarie dei civili hanno segnato la svolta delle intenzioni dell’invasore. Eliminare un popolo. Di nuovo, ancora.

Con lo spettro del nucleare sempre più sventolato al mondo come un cadaverico fazzoletto in una rivisitata forma del gioco “Bandiera”. Mentre sul tavolo del “Risiko” giacciono inermi, tra carrarmati e mine inesplose, le esistenze di chi è diventato, obtorto collo, pedina numerica di una diabolica e tracotante scacchiera di morte.

E con un filo di “ricucitura” tanto esile…

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Siamo nei giorni del ricordo del grande Massimo Troisi, che avrebbe compiuto 70 anni il 19 febbraio e che a breve rivedremo in sala con il docu-film “Laggiù qualcuno mi ama”, omaggio di Mario Martone all’attore napoletano più amato dopo Edoardo De Filippo e Totò.

Se ne andava, per quel cuore malato, alla fine delle riprese de “Il postino”, in cui si rende esplicito il suo essere poeta della vita, capace di raccontarne felicità e fragilità. Insieme a quello sguardo un po’ sornione, tanto malinconico, che lo aveva reso celebre.

I titoli dei suoi film condensano la sua filosofia di vita e il suo rapporto col pubblico: “Ricomincio da tre”, “Scusate il ritardo”, “Le vie del Signore sono finite”, “Pensavo fosse amore invece era un calesse”, fino a “Non ci resta che piangere” insieme ad uno strepitoso Benigni in un surreale viaggio nel tempo con Leonardo e le sue invenzioni.

Il suo vestire ed essere Pulcinella nasce da ragazzo, e della maschera amava, come ricordava lui, “l’imbarazzo, la timidezza, il non sapere mai da che porta entrare e le sue frasi candide“. Quel modo di essere che lo fa conoscere al grande pubblico televisivo nel 1977 con “La smorfia” insieme agli amici Lello Arena ed Enzo Decaro nel programma “No stop”, intuizione anti-narrativa del geniale regista Enzo Trapani.

E Troisi c’era già tutto, parlare strascicato quasi incomprensibile ma mimica universale, calzamaglia nera, follia quasi surrealista dell’improvvisazione. Iniziando un viaggio breve ma denso che lo renderà, attraverso un talento immenso, eterno folletto, poeta bambino.

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E alla fine, come da pronostico, giusto e meritato, ha vinto il 73° “Festival di Sanremo”, e in tutte le giurie, Marco Mengoni, gladiatore buono, con “Due vite”. Voce potente e vibrata, interpretazione di emozione, occhi col sorriso nella malinconia, mentre ci ricorda “che giri fanno due vite“.

Degni di nota per le loro note, in ordine strettamente alfabetico: Colapesce Dimartino (geniali, col verso più contemporaneo della kermesse, “Ma io lavoro per non stare con te“), Coma_Cose (un testo poetico sull’addio che non è addio), Cugini di campagna (nella versione autoriale di “La Rappresentante di Lista”, e si sente), Lazza (il producer d’oro Dardust colpisce ancora…), Madame (con una “Via del campo” 2.0), Mr. Rain (quasi un supereroe in versi: “si nasce soli e si muore nel cuore di qualcun altro“), Rosa Chemical (il ritornello gitano entra da subito in testa), Tananai (un delicato omaggio all’amore separato dalla guerra, quella sul suolo ucraino).

Da ricordare: un Presidente della Repubblica al Festival che ascolta con occhi sorridenti le parole di Roberto Benigni sulla Costituzione (“avendo contribuito anche Suo papà Bernardo, Presidente, possiamo dire che la Costituzione è un po’ sua sorella!“), il trio Morandi – Ranieri – Al Bano (il Sanremo storico ma sempreverde da standing ovation), il monologo teatrale di Chiara Francini (le domande spiazzanti, autentiche ma dette sottovoce, sull’assenza di maternità), la performance dei Maneskin (insieme al mitico chitarrista Tom Morello) e quella dei Depeche Mode (insieme a ciò che sono stati), alcuni duetti (Mengoni col coro gospel “The Kingdom Choir” su “Let it be”, Giorgia con Elisa, Tananai con Antonacci), la tenerezza di Peppino di Capri e la sfrontatezza di Ornella Vanoni (e Gino Paoli), un “Viva radio 2 Sanremo” con le ore confuse (tra le ultime della notte e le prime del mattino) ma con Fiorello sempre ironicamente sul pezzo (il vero capo comico del Festival), gli ascolti record (che non facevano dubbiare sul quinto mandato ad Amadeus), i social ad entrare sul palco.

Da dimenticare: il monologo pseudoteatrale di Chiara Ferragni (troppo autofocus, ma è quanto chiedono i followers), Blanco e la rabbia agita contro le rose del palco (un po’ vero, un po’ finzione, tanta maleducazione), alcuni duetti (quelli autocentrati, quelli azzardati, quelli non-sense), il numero extra-large delle canzoni in gara (con gli ultimi che diventano i primi del giorno dopo), le polemiche governative intorno ai baci fluidi (c’è ben altro di cui occuparsi e preoccuparsi…), il comunicato Zelensky letto da Amadeus dopo le 2 di notte (relegato oltre la zona Cesarini), la pubblicità in esondazione (ma si sa, pecunia non olet), i social ad invadere il palco.

Giù il sipario.

Ps: nonostante gli ascolti record, certi comportamenti artistici (leggi foto strappate) fanno dubbiare alcuni politici sulla continuità della gestione Amadeus e degli stessi vertici Rai. Ma son ragazzi, ci si scherza (seppur Sgarbi abbia già prontamente proposto un nome quale nuovo direttore artistico del Festival di Sanremo, Morgan. Forse con Bugo al seguito).

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Quest’anno al 73° “Festival di Sanremo” è di scena il numero 2, a partire dai presentatori.

Spopola in particolare nei titoli delle canzoni, dall’essenziale “Due” di Elodie al moltiplicato “Duemilaminuti” di Mara Sattei. Passando poi per il doppio intrecciato in “Due vite” di Marco Mengoni e per il famoso logo di antica scrittura con “Lettera 22” dei “Cugini di campagna”.

Ma furoreggia anche nei versi, “Spaccando in due il silenzio” (Grignani) mentre “siamo due cause perse” (Sethu), forse perché “due milioni di parole non bastano” (Paola e Chiara) quando si è “due gocce di pioggia” (Mr. Rain) o “due iniziali in un cuore di sabbia” (LDA).

Insomma, tutto questo fiorire di “due” muove pensieri intorno all’unico numero primo pari. Il “due” è il numero della relazione di coppia, ma anche dell’indecisione e della divisione. In numerologia rappresenta il Verbo, la Sapienza, la Parola Divina. In matematica è il primo dei numeri detti “intoccabili”, ma è anche “pratico”, “odioso” e “oblungo”. Ma soprattutto non è “perfetto”.

E lo sappiamo bene. Perché tutto ciò che è “due”, cioè “incontro”, va mediato. Via complessa ma necessaria alla convivenza di idee diverse. Specialmente in questo reo Tempo.

Ps: non sempre le canzonette “sono solo canzonette“…

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