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Posts Tagged ‘libertà’

Si è spenta ieri, 13 aprile 2023, un’icona della moda femminile, Mary Quant, creatrice della minigonna. Era solita dire che il pezzo ridotto di stoffa sulle gambe femminili non l’aveva inventato lei, bensì “lo ha fatto la strada”.

Eppure a lei è stata dedicata una targa a Londra, proprio in King’s Road dove la stilista aprì la sua prima boutique, Bazaar, divenuta in poco tempo destinazione culto per la Swinging London degli anni Sessanta. E la modella Twiggy Lawson, col suo fisico asciutto, la testimonial perfetta per quel capo simbolo di quell’epoca.

Dopodiché la minigonna continuò e continua a raccontare la bellezza e la libertà femminile. Rendendoci gazzelle.

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Un tempo si sperava che “8 marzo”, cioè attenzione nei confronti delle donne, fosse ogni giorno dell’anno.

Ora ci si augura che lo sia ovunque nel mondo. Almeno per ventiquattro ore.

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Tavola tratta da “Persepolis” di Marianne Satrapi

Ormai le “scuse” per decretare la condanna a morte dei giovani iraniani, persino minorenni, sono le più risibili.

Una ciocca di capelli fuori dal velo.

Intraprendere una guerra contro Dio.

Sognare la libertà suonando musica.

Strazianti a tal proposito le ultime volontà del giovane iraniano Majidreza Rahnavard, il secondo ragazzo giustiziato dalla Repubblica islamica per aver partecipato alle proteste anti-governative: “Non voglio che piangiate sulla mia tomba né che leggiate il Corano o preghiate; voglio che siate felici e suoniate musica allegra”. 

Una Resistenza coraggiosa, che racconta come in ogni Paese che lotta per le libertà fondamentali ci sia una generazione di giovani che sacrifica la propria vita nella speranza che la successiva possa goderne.

Onore e gratitudine a questi eroi di ogni tempo e latitudine.

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C’è chi si ostina nel fastidio (“parliamo ancora di fascismo?“), chi invece rievoca con qualche nostalgia (pochi ma pericolosi), chi infine sente giustamente un dovere morale ricordare quel 28 ottobre 2022, “una data funesta – come ha detto Liliana Segre – della storia italiana, che segna l’inizio del fascismo, la più grande sciagura della storia nazionale del secolo scorso“.

Non dimenticare gli eventi storici, cercando di comprenderne le cause, è buona e doverosa pratica che va insegnata alle nuove generazioni in una sorta di passaggio del testimone. Affinché le democrazie, sempre fragili, sempre in divenire, possano sviluppare anticorpi stabili verso possibili sottrazioni di libertà ed uguaglianza.

Anche il cinema, attraverso il documentario “Marcia su Roma” del pluripremiato regista Mark Cousins, con archivi inediti ferma la riflessione su quell’evento epocale, l’ascesa al potere di Mussolini e la sua Marcia su Roma nel 1922, che innescò una catena di accadimenti sempre più tragica. Influenzando poi molte delle tirannie mondiali dal XX secolo in avanti.

Ricordare, senza relegare un tale episodio a fenomeno di contorno, è necessario. Anche per l’esecutivo di un Paese. Di qualsiasi parte politica esso sia.

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“La Costituzione è il fondamento della Repubblica. Se cade dal cuore del popolo, se non è rispettata dalle autorità politiche, se non è difesa dal governo e dal Parlamento, se è manomessa dai partiti verrà a mancare il terreno sodo sul quale sono fabbricate le nostre istituzioni e ancorate le nostre libertà.”

Luigi Sturzo

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Si è spento Boris Pahor. Era vecchio si dirà. Già, ma i testimoni dell’Orrore dovrebbero essere esentati dall’umano destino mortale.

Scrittore triestino, di quella Trieste crogiolo di popoli e culture, testimone sempre vigile contro i crimini del nazifascismo ma pure contro la repressione comunista nei territori dell”ex Jugoslavia. E anche delle devianze del nostro tempo.

Boris Pahor è stato il padre di un memorabile testo come “Necropoli”, libro autobiografico intenso e sconvolgente, in cui racconta la sua esperienza del Campo di concentramento di Natzweiler-Struthof sui Vosgi, affinché la Memoria non si perda e la Storia non sia passata invano. Ma oltre alla fedele testimonianza delle atrocità dei lager nazisti, “Necropoli” è anche un emozionante documento sulla capacità di resistere e sulla generosità dell’individuo. Perché Pahor, pur avendo perso in quell’orrore molta parte di sé e dei suoi compagni, sottolinea comunque l’umanità mai del tutto sconfitta.

Perdiamo un custode rigoroso del “filo spinato” del Novecento, ma anche del nostro tempo.

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Resistenza, Libertà, Costituzione.

Tre parole cui rendere omaggio, ricordando.

Perché la Resistenza, come scriveva Beppe Fenoglio ne “Il partigiano Johnny”, è un’esperienza “assoluta“, che trascende il tempo. Quando Johnny guardò per l’ultima volta il viso del partigiano Tito, “ci vide un sigillo di eternità, come fosse un greco ucciso dai Persiani due millenni avanti“.

Perché la Libertà, nelle parole di Piero Calamandrei intimandoci a ricordare, “è come l’aria: ci si accorge quanto vale quando comincia a mancare”.

Perché la Costituzione, come sottolineava Sandro Pertini, “è un buon documento, ma spetta ancora a noi fare in modo che certi articoli non rimangano lettera morta, inchiostro sulla carta. In questo senso la Resistenza continua.”

Ecco perché il 25 aprile è data costitutiva per noi italiani. Da tenere impressa e stretta. A monito.

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Patrick Zaki, appena scarcerato, abbraccia la sorella

Finalmente!

Finalmente, dopo la notizia di ieri della scarcerazione di Patrick Zaki, le prime immagini rassicuranti e felici dello studente egiziano dell’Università di Bologna in libertà dopo 22 mesi di detenzione preventiva con accuse ancora ad oggi poco chiare, di diffusione di notizie false dentro e fuori il paese”.

Ora Patrick è libero, seppur non assolto. Le accuse restano e Zaki dovrà presentarsi a un’udienza che si terrà il primo febbraio del nuovo anno.

Per ora la gioia di poter vedere Patrick Zaki non più detenuto e tra le braccia dei suoi cari. Con l’augurio affettuoso che possa presto riabbracciare anche la sua amata Bologna.

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Quando sento dire che le parole sono solo parole mi allarmo. E poi mi arrabbio. Perché parlare se si tratta solo di aria? Perché usare parole privandole del loro significato? Perché riempire i vuoti se i pieni non sono tali? Del resto i social, sempre più incubatori ed amplificatori di parole vuote, di ciò si nutrono. Innescando infiniti giri di giostra a basso divertimento e a zero utilità. Ma ad aumento esponenziale di confusione mentale. E la pandemia, purtroppo, è stata e continua ad essere terreno di coltura per tale caos.

In questi giorni torna in scena, purtroppo, la parola “lockdown”, già parola dell’anno 2020. Sembrava che su tale termine “chiuso” potesse nel 2021 avere la meglio quel termine più “aperto” al futuro e al vivibile che è “vaccino”. E in parte è stato così. I numeri, più oggettivi delle parole, fanno emergere le differenze dallo scorso autunno. Eppure…

Eppure l’impressione è che stiamo entrando in un tempo a spirale in cui, seppur con scenari diversi, certi meccanismi sembrano inceppati in un inquietante “loop” distopico. In cui le parole sembrano svuotarsi sempre più, a primo impatto, del loro significato. Quando in realtà sono sempre gravide del loro “pieno”. Ovvero di tutto ciò che portano, e comportano, col loro semplice suono. Dalla implicita “perdita di libertà” in “lockdown” allo “scudo immunitario” nel “vaccino”, fino al “ciclo chiuso e ripetitivo” del “loop”. E se ogni “parto” comporta  una “nascita”, la stessa chiede spazio, mentale e fisico, per prendere “aria”. Affinché sia vissuta “piena” e consapevole, come ogni parola che usiamo.

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Honoré Daumier, “La rivolta” – 1860

Qualche pensiero a proposito del sabato di guerriglia urbana avvenuto a Roma con scontri di piazza culminati nell’attacco squadrista alla sede nazionale della Cgil.

Il violento e inammissibile degenerare di una protesta è sempre disdicevole e motivo di riflessione sulla natura umana, a tratti animalesca. Offendendo peraltro il mondo animale che usa violenza solo se costretto.

Farlo poi in nome di una presupposta libertà da difendere, senza considerare i necessari limiti che lo stesso concetto di libertà ha in sé (altrimenti sarebbe anarchia), muove considerazioni intorno al rispetto che si ha dell’altro.

Che il tutto avvenga in tempi e ambiti pandemici, per cui alcune regole sono necessarie per evitare di ritrovarci alla casella di partenza, fa pensare che non sempre l’homo sapiens sia tale.

Ma ciò che proprio non può che essere condannato, senza se e senza ma, evitando qualsiasi sofisma, è l’assalto organizzato e distruttivo nei confronti di chi rappresenta valori democratici universali, quali la difesa dei diritti dei lavoratori attraverso un sindacato o la difesa dei diritti dei malati attraverso un presidio ospedaliero. Quando si arriva a tanto e tale sfregio vanno riposizionati con urgenza i paletti sul concetto di libertà. Senza sofismi.

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