Guardo alla vicenda piccola seppur paradigmatica di Luis Suàrez, calciatore uruguaiano in cerca di ingaggio e vocabolario.
Per ottenere l’attestazione di conoscenza di lingua italiana necessaria per ottenere la cittadinanza, e quindi il contratto fuori quota extracomunitaria con la Juventus, fa carte false insieme alla squadra. Quindi l’esame di italiano, per il quasi nostro attaccante uruguaiano, diviene farsa, con i verbi suoi all’infinito e le richieste linguistiche dei prof intorno a parole identiche nelle due lingue, “melone” e “supermercato”. Ma sarà un caso.
Allora penso a certi miei studenti alquanto refrattari alla lingua italiana, anche quando di lingua madre seppur matrigna, che considerano il congiuntivo un modo più oftalmico che verbale. E penso però anche alla fatica e alla caparbietà di alcuni di loro nel voler portare a casa il risultato, per migliorarsi e inorgoglire le famiglie che con sacrifici li fanno studiare.
E a questo punto della mia pensata vedo con nauseabonda tristezza allargarsi a dismisura il divario tra chi paga per comprarsi un vocabolario per studiare e chi si compra direttamente lo studio senza alcun vocabolario.