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Posts Tagged ‘vita’

Jacques Henri Lartigue, “Florette” – Monte Carlo Beach 1958

Questo scatto, meraviglioso, del fotografo Jacques-Henry Lartigue, racconta che la vita è acqua.

A partire dal mare da cui arriviamo, per giungere all’acqua dolce a cui agogniamo. Al fine di ricomporre il nostro interno liquido puzzle.

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Nonostante l’uomo distrugga, la primavera ricomincia a sbocciare vita, continuando il suo mestiere.

Comprenderemo mai, noi umani, il nostro di mestiere?

Ps: e intanto, undici le “primavere” di questo blog…

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“Mi hai insegnato ad amare il mare.

Il suo azzurro e le sue onde. La vita. 

In esso, come in altro, ti ritrovo.”

 

A papà Sergio

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Il regista Emir Kusturica, con il suo sguardo poetico, è riuscito a cogliere nel profondo l’essenza sfaccettata di Diego Armando Maradona, quel suo élan vital da eterno bambino che lo ha reso carismatico insieme al talento calcistico da fuoriclasse.

E il suo film documentario “Maradona by Kusturica”, presentato fuori concorso al Festival di Cannes 2008, ci racconta le sfumature, gli sguardi, i sogni, i démoni dell’uomo Diego, insieme al mito inarrivabile Maradona, Mano de Dios, che attirava in modo magnetico folle oceaniche.

Vivo la vita che voglio vivere” affermava con forza Diego al regista. Raccontando in modo lucido e senza diaframmi la sua origine povera ma affettuosa, il suo legame ancestrale con la pelota e l’Argentina, il suo amore sincero per la famiglia e i tifosi, la sua dipendenza dalla cocaina.

«So di aver fatto del male prima di tutto a me stesso e quindi alla mia famiglia, alle mie figlie. Credo che in futuro imparerò a volermi più bene, a pensare di più alla mia persona. Non mi vergogno però. Non ho fatto male a nessuno, salvo a me stesso e ai miei cari. Mi dispiace, sento una profonda malinconia, soltanto questo».

E nella canzone che canta insieme ai suoi amici, sotto lo sguardo attento del regista, il ritmo gioioso è venato proprio di quella profonda malinconia.

Quella di ogni uomo quando ripensa ai fotogrammi già storia di sé.

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Canta bene, in ogni senso, Marco Mengoni, nel suo (ma anche nostro) “Muhammad Ali”:

Bene o male tutti i giorni
Ad incassare la vita sul ring
In piedi come Muhammad Ali
Siamo tutti Muhammad Ali“.

E ripensiamo a quell’uomo, a quell’esempio. Tentando, seppur maldestramente, di imitarlo.

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In questi giorni gli abitanti, già ex, delle case site sotto i resti del ponte Morandi di Genova sono chiamati ad un’incombenza enorme e triste. Decidere quali oggetti della propria casa, quindi della propria vita, portare via. E farlo in due ore, stipando i ricordi in cinquanta scatoloni.

Ho quindi provato a fare questo esercizio mentale, un po’ buddista un po’ masochista, di pensare per un momento di essere in quella disperata e dolentissima situazione. Di scelta. Tra gli oggetti d’affetto e d’uso e d’abitudine. Tra le cose nostre, che ci rappresentano e ci confortano. Presente e passato. Necessità e consolazione.

E comprendi, se ancora ce ne fosse bisogno, che la vita è accumulo solo per un periodo. E poi, di necessità e per tutti, sottrazione. Di stati, luoghi, persone. E persino oggetti, che di tutto ciò sono anche simbolo. Di cui abbiamo infinito bisogno.

La nostra privata coperta di Linus. Che, seppur consunta, è per ciascuno affettuosa.

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Strana storia quella di “Stoner”, il protagonista dell’omonimo romanzo di John Williams.

Storia semplice ma densa e magnetica. Non succede quasi nulla eppure ti senti da subito necessitato alla sua lettura, trattenuto da un fluire abilissimo di parole.

Un esempio? “A quarantatré anni compiuti, William Stoner apprese ciò che altri, ben più giovani di lui, avevano imparato prima: che la persona che amiamo da subito non è quella che amiamo per davvero e che l’amore non è una fine ma un processo attraverso il quale una persona tenta di conoscerne un’altra.”

E pensare che, pubblicato per la prima volta nel 1965, il romanzo non ebbe riscontro di pubblico. Forse perché troppo avanti. Ristampato nel 2003 si rivela infatti un fenomeno mondiale.

Come ha dichiarato lo scrittore inglese Ian McEwan, la storia di Stoner “è una vita minima da cui John Williams ha tratto un romanzo davvero molto bello. Ed è la più straordinaria scoperta per noi fortunati lettori.”

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In questi giorni di caldo africano ho la fortuna di potermi “ritirare”, per qualche manciata di lancette, sui miei fondi marini.

Eppure anche laggiù si percepisce una temperatura più elevata. Per il tipo di pesci incontrati nonché meduse sfiorate. Ma soprattutto per la necessità di abissare al fine di trovare refrigerio in correnti non solo liquide ma anche fresche.

Ripenso così all’inizio della vita che avviene dove c’è acqua e silenzio e mistero. E ogni volta subisco una specie di incantamento di fronte alla palese immensità del Tutto.

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Stephen Hawking having a barbecue with his then wife Jane Wilde and his kids Robert and Lucy – 1977

Curioso che il fisico Stephen William Hawking se ne sia andato proprio nel giorno del “pi greco”.

Forse una strategia di quel cosmo a cui ha dedicato la sua esistenza di fisico. Permettendo alla scienza passi da gigante. Quelli a lui impediti. Ma solo al suo fisico, che però per lui era, curiosamente, il suo lavoro.

Eppure Hawking è stato anche un uomo. Dotato di uno sguardo felice sul mondo, nonostante. E di un’energia così potente da pensarla in arrivo da quel Tutto che Hawking indagava, sondava e amava.

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“Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno.

Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi.

[….]

Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo. Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore.”

Antonio Gramsci, 1 gennaio 1916, Avanti!, edizione torinese, rubrica Sotto la Mole.

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