Non so voi, ma io mi sono stancata di sentir dire che la Libia è porto sicuro.
Pazienza le chiacchiere da bar, tram, piazza et affini. Proclamato però a gran voce da figure istituzionali no, non ci sto.
Che la “faccenda” migranti sia tutt’altro che facilmente risolvibile, evitando banali buonismi e assurdi cattivismi, è un fatto lapalissiano. Altro però sono le fake news, costruite ad arte per “scaldare” le masse, negando fatti oggettivi e incontrovertibili. A detta delle stesse organizzazioni internazionali, quali ONU e Unhcr. O non valgono neppure più quelle perché non votate dal popolo?
I campi profughi libici tutto sono fuorché un luogo sicuro. Chiedersi perché molte delle donne in arrivo siano incinte è una domanda logica da porsi, che porta come conseguenza diretta agli stupri perpetrati di consuetudine sul genere femminile, e non solo, nei campi di detenzione della Libia. Definito però “porto sicuro”.
Forse è ora che la coscienza civile si ribelli, dicendo basta almeno alle fake news. Cominciamo da lì. Un’informazione oggettiva e seria, che su alcuni paletti non transiga. Se un luogo è oggettivamente nero non si può ammettere che venga raccontato come bianco.
Tutto il resto, decisioni e spartizioni, è successivo.