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L’incontro-scontro Berlusconi versus Santoro a “Servizio Pubblico” è stata una corrida come nell’anticipazione del conduttore. Ma non una corrida tra toro e matador, bensì “La corrida”, storica e popolare trasmissione radiotelevisiva che, attraverso un garbato mattatore quale Corrado, dava il via ad una serie di siparietti tra dilettanti allo sbaraglio.

E se Santoro e Berlusconi dilettanti non sono, allo sbaraglio sembravano, l’uno in cerca di share, peraltro ottenuto, l’altro in cerca di rimonta, peraltro raggiunta. Tutti contenti? Gli spettatori alquanto divertiti per i siparietti da guitti tra i due (il tormentone delle scuole serali è apparso un pezzo da cabaret), i sostenitori del Cavaliere di sicuro ringalluzziti dalla performance d’autore del loro. Un po’ meno forse i cittadini che, in vista di importanti elezioni, hanno visto sfumare ancora una volta la possibilità di concrete disamine su temi economici e sociali tanto sentiti dal Paese reale.

Ma in tempi di superficie ciò che conta è il minuetto. La corrida è lotta troppo cruenta, senza possibilità di repliche.

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Finalmente una trasmissione di storie che stimolano riflessioni.
Lunedì sera, prime time, Rai tre. Condotta con garbo, senza smanie urlate da protagonista né ansie da prestazione da anchorman di lungo corso, dal direttore de “La Stampa” Mario Calabresi, “Hotel Patria” è una trasmissione che racconta appunto storie, presentandole come pezzetti di vetro da sbirciare in una ciotola, lasciandoti poi la voglia di andarle a vedere  in un secondo tempo più da vicino.
Ieri sera, per esempio, si è parlato di coraggio, da quello estremo del navigatore solitario Giovanni Soldini che rinuncia ad un record per salvare una sua collega in balìa delle onde, a quello civile dell’avvocato Giorgio Ambrosoli che scrive una lettera di altissimo senso dello Stato alla moglie qualche anno prima di essere ammazzato, da quello di donne magistrato in luoghi che sembrano puntini sulla carta geografica e che invece stanno rivelandosi roccaforti della giustizia attiva in Italia, a quello di altre donne, suore di clausura, che sono anch’esse e in altro modo in prima linea, perché scegliere tale via in questo tempo storico di estrema visibilità è richiamo del “cor”, coraggio appunto.
Sui titoli di coda vedi bambini di 11 anni, col sottopancia che ti ricorda che avranno 50 anni nel 2050, che con sguardi tra l’incantato e il visionario ti raccontano perché si sentono italiani. Dorina, di origini albanesi, ti guarda dritto negli occhi e in modo disarmante ti dice: “Mi sento italiana perché mi sento uguale a tutti gli altri”. In un sol colpo mi ha cancellato ore di dibattiti televisivi sull’integrazione degli stranieri in Italia.

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