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Tema in classe.

Nicola, un mio studente di seconda liceo non sempre attento alla forma linguistica ma con uno sguardo spesso incantato sul mondo, sceglie quello sulle donne “ultime” cantate da Fabrizio De André.

Deve dare un titolo al suo saggio critico.

E qui arriva la poetica sorpresa, il regalo inaspettato. Un verso illuminato, in assonanza grata.

Felice, triste meretrice”.

Faber, ne sono alquanto convinta, avrebbe tacitamente apprezzato.

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Tiziano Vecellio "Caino uccide Abele" (1544) - Basilica di Santa Maria della Salute, Venezia

Tiziano Vecellio “Caino uccide Abele” (1544) – Basilica di Santa Maria della Salute, Venezia

Il Professor Umberto Eco avrebbe forse apprezzato questo calembour.

“Caino uccide Adele”, forse perché invidioso del successo della cantante inglese.

Ma il calembour è tale se riconosci il suo multiplo gioco. Se invece è inconsapevole perché di Caino, e dei suoi misfatti familiari, proprio non sospetti l’esistenza, allora cos’è? Non so, sospendo il giudizio. Però accade. Liceo, tema, titolo dettato, citazione sulla lettura: “Chi non legge a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito. Perché la lettura è un’immortalità all’indietro.

Il più sospirato “sob” scaturisce in me ripensando all’autore di tale aforisma.

Già, sei tu Professor Eco. Doppio sob. Avevi ragione a definire tale tempo con le incomprensibili parole del Pluto dantesco: “Pape Satàn, pape Satàn aleppe“.

E così sia.

Ps: Illogica per illogica, perché scegliere un tema di cui non conosco una parte, quando ne ho altri due a mia disposizione? Forse perché uno contemplava altri due personaggi, e non di soap, Ettore e Andromaca (chi sono costoro?), e l’altro il livello elementare e afasico del linguaggio giovanile. Già.

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Esami di Stato al via!

Ci siamo ragazzi! La “notte prima degli esami” è ormai alle spalle. Tutte le ansie sono con voi, per mano e a braccetto. Tutte le conoscenze e i metodi acquisiti in anni di studio sembrano non rispondere all’appello. E mentre si fa ingresso nella propria scuola, quella di sempre, essa appare improvvisamente sconosciuta, distante, davvero istituzionale. I compagni li vedi e non li vedi, le gambe sembrano di gesso, i vocabolari di marmo, e la corsa per il “banco giusto” è il primo step che consideriamo indispensabile.
E poi tutto rotolerà come una pallina lungo un piano inclinato, in modo inevitabile ma più dolce del previsto. Richiesta documenti, distribuzione fogli, ultime raccomandazioni, ancora l’ansia che sale (“ma ci sarà un tema che potrò affrontare?”), prime certezze che si affacciano (“ma ho sempre scritto in modo sufficiente, non è ancora matematica, è un tema!”), e infine prende la scena la serena consapevolezza di chi sente di aver svolto compiutamente la propria preparazione.
Si sente vociferare nei corridoi, rumore delle fotocopiatrici al nastro di partenza, i prof hanno saputo le tracce del Ministero. Chissà… Chissà se è uscito il tema che rimbalzava in “rete”, chissà se la scelta è caduta sull’autore che la prof sentiva, chissà se c’è il mio argomento preferito, chissà…
Arrivano le tracce, ci siamo, ci sarà qualcosa anche per me… E si comincia, entrando in quelle sei ore che sembrano dapprima infinite e poi cortissime: la lettura dei documenti, la scelta, la scaletta, la scrittura, il titolo, l’ortografia, la bella copia, l’ultima lettura… e poi… e poi consegno.
Le ore sono sfilate via come quelle degli appuntamenti importanti, con le lancette che sembrano girare più veloci, i quadranti che si liquefanno, come ci ha insegnato Dalì coi suoi orologi “molli”. E quello che rimarrà di questa “storica” giornata sarà il titolo che l’artista diede ai suoi disfatti orologi, “La persistenza della memoria”.
Già, traccia mnestica indelebile quella del primo giorno di “maturità”, tema di italiano.

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