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Posts Tagged ‘teatro’

È uscito di scena definitivamente Gigi Proietti, lasciandoci ammutoliti e già orfani di quel riso lieve e profondissimo, elegante e scanzonato che riusciva a smuovere emozioni e pensieri nello spettatore, migliorandolo.

Un animale da palcoscenico, capace come pochi di usare in ogni sfumatura un camaleontico linguaggio del corpo insieme ad un’ampia gamma vocalica. Mimica e intonazione intrecciate con sapienza scenica. Istrionico in ogni ruolo, come i guitti di un tempo antico.

Sapeva catturarti anche solo attraverso uno sguardo sornione, muovendosi però su ogni registro, dal testo classico all’improvvisazione pura.

E l’ultima uscita di scena, un autentico coup de theatre. Andarsene nel giorno del suo ottantesimo compleanno, in quel giorno di nascita, il “giorno dei morti” su cui giocava sempre, “la data, eh… Viene data… “.

La stessa sottile ironia, che in lui diventava maestria, con cui riusciva a sbeffeggiare, in una famosa performance, uno chansonnier francese dicendo davvero poco, eppure facendo arrivare moltissimo.

Grazie Maestro per averci regalato arte di sublime leggerezza.

Ps: qualche giorno fa un altro grande attore, Sean Connery, ci ha abbandonati… Che fatica… Rimando al mio omaggio per i suoi 90 anni del 25 agosto scorso.

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Scelse il nome d’arte Valeri dal poeta Paul Valéry. Iniziando così quel sommo mascheramento fatto di arte, intelligenza, ironia. E surrealtà dosata con maestria.

Inventando personaggi indimenticabili, dalla Signorina Snob alla Sora Cecioni, calcando con estro e leggerezza e acume i palcoscenici di teatro, cinema, televisione.

Ma soprattutto Franca Valeri ha insegnato a noi donne l’autoironia, mostrandoci come non prenderci sul serio per farci prendere sul serio dal mondo. Oltre lo scontato ruolo canonico.

Anche per questo, Franca, grazie.

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La prima volta che vidi Dario Fo avvenne per “colpa” di mia mamma.

Ero bambina e dei suoi spettacoli teatrali visti in televisione ho il ricordo dell’allegria. Tanta e colorata. Frammista all’odore di casa. Con quella strampalata sigla/filastrocca di “Mistero buffo”, Ma che aspettate a batterci le mani, in cui riconoscevo le parti folli e teatrali che si agitano sottotraccia nelle persone, me compresa. Avevo l’idea di un surreale minestrone in cui potevano convivere in modo giocoso “i re dei ciarlatani” e “Napoleon di Francia”, “trenta lune di cartone” e il cuore a fare “seimila capriole”.

Più avanti ne colsi lo scherzo e lo sberleffo, il talento e il dileggio, il sacro e il profano. Insieme al lavoro profondo che necessita la leggerezza, per essere fruita senza essere vista.

Poi lo incontrai, il Giullare Dario Fo. Primi anni universitari, esame di Storia del Teatro da preparare, la figura di Arlecchino, Harlequin, “il re dell’inferno” da approfondire. E lui, Dario Fo, emanazione in terra di quel re saltimbanco, era a teatro con quella maschera. Ricordo lo spettacolo, ma soprattutto il dopo. L’attesa al camerino, l’ansia di incontrarlo, la parola alle corde. E poi eccolo.

La sensazione resta, anche nel ricordo, quella di allora. Era “tanto”, in tutto. Come se fosse necessario un “codice” per coglierlo appieno, per decifrarlo oltre il livello “letterale”.

E lì compresi che alcuni uomini sono una fortuna per quelli a loro contemporanei. Un’occasione per gustare frammenti di Cose Alte. Non sempre e del tutto comprensibili, ma ghiotte e indispensabili al nostro umano “viaggio”.

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Che spiazzante coincidenza quella che vede andarsene, nel giorno di assegnazione del Nobel per la letteratura, peraltro vinto da un altro poeta fuori dal canone come Bob Dylan, il giullare Premio Nobel Dario Fo.

Difficile credere che la sua parabola umana si sia conclusa. È quanto accade ai Grandi, quelli che pensi siano imbevuti di Eterno. E in realtà è proprio così. Dario Fo, grazie alla sua Arte, sta con noi. Incantandoci ancora.

Con il suo geniale grammelot, i suoi sberleffi pantagruelici, la sua satira fustigante, il suo “Mistero buffo”, la sua lucida capacità di denudare, con la risata, il Potere. Da giullare del popolo. Giullare da Nobel.

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È stato un imperatore del teatro italiano, Giorgio Albertazzi. Per la sua capacità attorale, altissima. E per la profonda empatia coi personaggi interpretati.

“Le memorie di Adriano” della Yourcenar, da lui recitate da anni, raccontavano ormai quella parte di lui e di chi, al tramonto della vita, raccomanda alla sua anima un viaggio “leggero”. “Animula vagula blandula”.

Ho avuto la fortuna di assistere due anni fa alle sue “Lezioni americane” di Calvino. La sua voce incantava, il suo corpo parlava. E la scena si riempiva di luce, di magia. Era davvero il teatro nel suo farsi.

Grazie, Maestro.

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Fra i suoi molteplici volti nascosti, c’è essenzialmente quello d’un soave, ben educato e diabolico genio del male: è un lupo in pelli d’agnello, e nelle sue farse sono parodiati insieme gli agnelli e i lupi, la crudeltà efferata e la casta e savia innocenza.

Natalia Ginzburg su Paolo Poli, attore italiano (Firenze, 23 maggio 1929 – Roma, 25 marzo 2016)

PS: Mancherà assai la sua capacità, intelligente e luminosa, di dissacrare con grazia leggera. Specie in tali tempi bui.

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TeatroGobetti (1)

Il Teatro è sempre una buona cosa.

Checché ci voglia far credere chi vive e muore per muovere terrore.

Perché il Teatro, e così il Cinema-i Libri-l’Arte, invitano a guardare il palcoscenico/mondo in modo diverso.

Cioè dal lato C, quello inaspettato.

Lato che ho nuovamente scorto assistendo alla commedia di Georges Feydeau “L’albergo del libero scambio”.

In cui si ride e si riflette. Perché si è spiazzati. Dalla finzione, dal gioco, dalla messinscena.

Perché ti accorgi che è la vita. Mentre fa le sue prove.

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Luca-De-Filippo (1)

Il Teatro da oggi è più triste. E noi più soli.

Il Peppeniello di “Miseria e Nobiltà”, che Luca De Filippo imparò dal nonno e dal padre a recitare in modo perfetto fin da ragazzino, torna definitivamente tra le quinte, lasciandoci sguarniti di consolazione. Per quei valori che questa famiglia di teatranti ha portato sul palcoscenico.

Come ha ricordato il suo amico e collega Toni Servillo, “Luca era umanità e talento, un vuoto che pesa“.

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maigret

Ammetto di averci pensato: vado o non vado.

E’ il sabato sera dopo la carneficina di Parigi.

Andare a teatro mi pone nell’identificazione, seppur lontana, con gli spettatori del Bataclan.

Parigi appare però vicina. L’autore, Simenon. L’ambientazione, un Bar. Paradossalmente il “Liberty Bar”.

E la musica. Francese. Quella che riconosciamo come distensione di vita, piacere allungato. Joie de vivre.

Il commissario Maigret che indaga. E per un momento speri che il suo metodo faccia luce sugli omicidi di oggi.

In cui però di giallo non c’è nulla. Solo nero, terrore, orrore.

Il divertimento di un sabato sera a teatro si è fatto un po’ più stretto.

Ma ho sentito, in un modo minimo, di continuare la scelta della serata precedente degli spettatori francesi.

La scelta di un’effimera pausa giocosa. Che per una follia disumana si è fatta pausa definitiva di vita.

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ronconi

Una vita dedicata al teatro quella di Luca Ronconi: “Ho imparato a conoscere il mondo attraverso il teatro. Da adolescente ero completamente chiuso su me stesso. Poi facendo il regista, non l’attore, ho imparato a conoscere gli altri e me stesso“.

E con le sue regie ha rivoluzionato la storia del teatro, a partire dall’innovativa messa in scena, definita “spettacolo-festa”, dell’ Orlando Furioso di Ludovico Ariosto adattato da Edoardo Sanguineti. Uno spettacolo immaginifico, con gli attori a recitare in contemporanea in spazi diversi spostandosi su enormi oggetti e carrelli scenici.

E che dire intorno al gioco temporale sperimentato su una delle “sue” attrici, Mariangela Melato, che fece invecchiare di centotrent’anni ne L’Affare Makropoulos, per poi ringiovanirla a sei anni di età in Maisie?

Sperimentazione sempre, anche da Direttore di Teatri Stabili, da quello di Torino (per Gli ultimi giorni dell’umanità di Karl Kraus l’azione scenica ha occupato tutto lo spazio dell’ex-fabbrica Lingotto) a quello di Roma, fino al Piccolo Teatro di Milano. Creatore di spettacoli, istruttore di attori, scardinatore dei linguaggi di scena. Una continua “anomalia” come si definiva lui stesso: “So benissimo di essere un’anomalia, anche come regista. Se c’è stato qualcuno sempre pronto a disconoscere quello che aveva appena fatto sono proprio io. Questo non è solamente bizzarria o insofferenza… Quello che posso fare è cercare di mantenere viva la curiosità per quello che succede intorno, per ciò che è necessario”.

Che è poi la ricerca di senso di questi nostri tempi. A cui Luca Ronconi riusciva a dare forma. Innovativa e profonda.

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