Il 23 maggio 1992 è una di quelle date che restano inscritte nella memoria.
Una primavera strana quell’anno, segnata dagli sviluppi dell’inchiesta Mani pulite e da elezioni politiche che vedono per la prima volta la Lega Nord e un Partito Comunista Italiano divenuto Partito Democratico della Sinistra per la cosiddetta Svolta della Bolognina. Poco dopo le elezioni si dimetterà, a due mesi dalla scadenza naturale del suo mandato, il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga.
Ma fu anche una primavera che aveva visto un omicidio eccellente di mafia, quello di Salvo Lima, probabilmente in gestazione fin dalla sentenza di Cassazione di gennaio che aveva confermato gli ergastoli del Maxiprocesso di Palermo, dando validità alle dichiarazioni del pentito Buscetta, a lungo interrogato nella fase istruttoria dal giudice Giovanni Falcone del pool antimafia.
E poi arriva quel giorno, il 23 maggio. E un orrore, inimmaginabile, prende forma. Un pezzo di autostrada palermitana salta in aria, Capaci sarà un nome tristemente conosciuto, cinque persone diventano un simbolo: Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani, agenti di scorta, Francesca Morvillo e Giovanni Falcone, giudici.
Un altissimo patrimonio umano, etico e professionale che, come Paese Italia, dovremmo essere in grado di preservare almeno nella memoria.