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Posts Tagged ‘sicurezza’

Che tristezza vedere risbobinarsi il solito tragico nastro… Con la Natura a reclamare il suo spazio, ancora una volta, esigendo un dolorosissimo contributo umano.

C’è il cambiamento climatico, è palese. Però a Ischia c’è anche un tasso alquanto elevato, il cinquanta per cento sul totale degli edifici, di abusivismo edilizio. E i condoni sempre promessi, reiterati, continuati. Senza mai considerare che mettere in sicurezza il territorio significa partire proprio da lì. Interrompendo infine la illogica, se non per fini elettorali, catena infinita di condoni. Investendo soldi pubblici come se non ci fosse un domani. Affinché possa esserci.

Ps: come è possibile, per il capriccio di qualcuno, inserire in manovra la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, quando è primario ri-costruire tutto lo sfinito e abusato territorio dello Stivale?

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Fortunato Depero, “Tornio e telaio” – 1949

Un lavoro da avere, per dignità e sostentamento. Un diritto dell’uomo.

Un lavoro a cui non soccombere per condizioni e sicurezza. Un dovere dello Stato.

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La Repubblica Italiana nasceva 75 anni fa.

La Costituzione l’ha resa indubbiamente bella. Le imperfezioni si sono però rese evidenti fin da subito nel suo tessuto endemico, dalla corruzione alla mafia, dalla scarsa cura intorno ad ambiente ed infrastrutture alla insufficiente attenzione verso le aree e le persone più fragili del Paese.

Continuare a ricercare un senso comune, insito nella parola stessa “repubblica”, porgendolo alle generazioni future, questo dovrebbe essere il dovere etico di ciascuno. Ancora, purtroppo, poco endemico.

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Di fronte alla tragedia della funivia del Mottarone ci siamo sentiti sperduti.

È l’incredulità dell’uomo davanti alla propria fragilità e finitudine. Tanto più crudele quando si evidenzia all’improvviso, nella giovane età e in un tempo di spensieratezza come la vacanza.

Nel tentativo di domare l’angoscia più atavica ci appelliamo al concetto di “fatalità”, destino, propriamente “la parola della divinità”, e quindi “la sorte irrevocabile fissata fin dal principio a cui non ci si può sottrarre”. È fatalità un fulmine che cade su una spiaggia a ciel sereno. Quindi ciò che è inatteso e inevitabile.

La caduta rovinosa della cabina della funivia, con il suo portato umano che non era meramente un numero ma vite, storie,  cammini, progetti, divenire (una tristissima “Spoon River”…), era sicuramente inattesa, ma non inevitabile. Ovvero, le variabili che potevano essere teorizzate per tale tragico evento riguardavano componenti meccaniche, quindi quelle sottoposte al controllo umano. A cui può però sempre sfuggire qualcosa, caso che rientra nel cosiddetto “errore umano”. Una dimenticanza, una svista, una sottovalutazione, un controllo non compiuto. Ma la ridondanza di sistemi di sicurezza permette all’uomo di autocorreggersi.

C’è infine il caso in cui l’uomo decide invece scientemente di eliminare l’autocorrezione, pur sapendo che ciò potrebbe avere conseguenze, anche fatali. Per cui, invece di mantenere in azione il freno di emergenza, come logica e responsabilità vorrebbe, si sceglie di inserire un forchettone che blocchi il meccanismo frenante, nonostante da quello possa dipendere, in caso di emergenza, la sopravvivenza delle persone che sono su quel mezzo. Si tratta di “dolo”, per i latini “inganno”, ossia “la volontà cosciente di infrangere la legge”. E la vita.

Meschino infine il fine di tal dolo: evitare un fermo manutentivo della funivia e quindi subire un mancato incasso. Decretando così, diabolus ex machina, la fine per chi era ignaro che il filo della propria esistenza fosse letteralmente in mano a chi aveva deciso che gli introiti di giornata fossero la voce più importante. In modo ingordo e indecente, privo di qualsiasi attenuante.

Facendoci sentire così ancora più sperduti.

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ANSA/LUCA ZENNARO

Tutti noi, vedendo lo spezzone del Ponte Morandi, quasi una linguaccia, sulle case ci siamo chiesti: “Possibile costruire lì, sotto un ponte, delle abitazioni?”. In realtà queste erano preesistenti al ponte, i cui costruttori non si sono posti limite al futuribile senza senso. Per cui alcuni tetti delle case sono stati intagliati per far posto ai sostegni del viadotto.

Ma c’è di più in tale orrore senza scrupolo. Quelle case furono costruite sul letto del fiume. Come da manuale costruttivo mai scritto. Del resto sono “solo” case popolari, quindi economiche, quindi senza possibilità di lucro. Quindi a chi tocca, tocca. In necessità.

E come in una gigantesca sciarada ci si sente sperduti salmoni con un senso improvvisamente perso delle origini.

ANSA/ LUCA ZENNARO

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Il Ponte Morandi di Genova sarà ormai, tragicamente e tristemente, associato al Ponte di Ferragosto.

Cedimento strutturale dicono. Ma ormai è cedimento totale. Del Paese Italia, delle sue strutture obsolete, delle manutenzioni mancate, delle pratiche trasparenti, della prevenzione programmata. E cedimento della fiducia in uno Stato attento alla sicurezza dei suoi cittadini.

Non ci resta che piangere. Per le vittime. E per quanto siamo, tragicamente e tristemente, diventati come Paese.

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Nel mare tormentato di questo tempo.

Ma con l’azzurro a ricordarci di non mollare i nostri ormeggi di libertà.

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Lo sbobinarsi del fil rouge folle e terrorista continua spietato sulla carta geografica.

Beirut, Parigi, Bamako. All’ombra del cedro, delle luci, dell’origine dell’uomo.

E se il Mali ci appare lontano, anche in virtù della sua Timbuktu, mai come oggi ci sentiamo Villaggio Globale.

Disorientato per un incomprensibile Male.

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Parigi come Beirut. In guerra.

Paura per strada. Libertà sospesa.

Applicazione del piano Alfa. Per una sicurezza totale.

Avvistamento della lettera Omega. Per l’umanità intera.

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A pochi giorni dall’apertura Expo 2015, siamo al filo spinato. Lo ha dichiarato alla conferenza stampa sulla sicurezza il commissario unico Giuseppe Sala : “Metal detector, filo spinato e 750 vigilantes per sicurezza Expo“.

E così, nel 2015, per garantire la sicurezza ad una delle manifestazioni mondiali più attese, non ci resta che piangere. Oppure il ricorso a quel tipo di recinzione che rimanda a luoghi di reclusione, in cui si “spina” il filo per evitare l’uscita, se non dolorosa, a chi/quanto è “dentro”.

Allontanando di fatto l’idea della festa.

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