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Posts Tagged ‘segni’

Giocare e creare con la sabbia fa bene. A tal punto da diventare una terapia, la SandPlayTherapy. Che non utilizza paletta e secchiello bensì “quadri” realizzati con miniature tridimensionali disposte in modo libero in una sabbiera. Al fine di leggerle per aiutare le persone, specie quelle con difficoltà comunicative, a ritrovare il benessere psicologico.

Perché, come diceva Carl Gustav Jung, “spesso accade che le mani sappiano svelare un segreto intorno a cui l’intelletto si affanna inutilmente”.

Insomma, un piccolo giardino zen per raccontare le proprie emozioni. Antico rituale buddista per ristabilire la calma. Tracciando segni per ritrovare i propri passi.

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Steve McCurry - INDIA. Jodhpur. 2007.

Steve McCurry – INDIA. Jodhpur. 2007.

Far della sera. Messaggio Whatsapp. Ex allievo lontano nel tempo, a cui torno in mente (“grazie per essere passata nei miei pensieri“) per un libro di Anna Marchesini a cui associa il mio libro di poesie: “Quindi ho ricercato il tuo blog per vedere se tutto procedeva; ho avuto nostalgia, ma una di quelle che ti fanno sbocciare un sorriso.” Dopo il passato mi aggiorna sul suo presente, fatto di canto lirico, all’Opéra di Montecarlo e tournée per l’Europa. Una costruzione iniziata quando ci siamo incontrati, due lustri fa, insegnante e allievo, con visioni mie sul futuro di lui e primi passi suoi in quello che sarebbe stato il suo oggi. E tentativi, prove, work in regress che si fa progress. Con lui, come per gli altri studenti. Ognuno coi suoi tempi e modalità e sogni. E via via qualcosa che prende “forma”, su cui credere, scommettere, applicarsi, cambiare il tiro, rivedere la rotta, navigare ancora. A volte a vista. Insieme alla convinzione però che in qualche modo, per ciascuno, si renderà palese la sua specifica “forma”.

E allora non posso poi non pensare per associazione, neppure troppo libera, alla “formazione” docenti, quella che la “Buona scuola” ha brevettato come sua scoperta, definendola “continua” e “permanente”. Ma davvero noi docenti avevamo necessità di vedere scritto per regio decreto tale lapalissiana verità? Penso ai miei libri, amati e imprescindibili compagni di viaggio. E alle scritture, di getto, meditate, rivisitate. E ai film d’autore visti in sale d’essai. E alle performance teatrali, quelle classiche e quelle sperimentali. E alla curiosità, mia bussola permanente. Che mi conduce ad un testo inedito di Leonard Cohen, ad una conferenza “liquida” di Bauman, ad una possibile associazione tra i passi solitari di Corto Maltese e a quelli non così diversi di Ulisse. Cammini miei che di necessità, anche solo osmotica, diventano passi di chi è studente “mio”.

Così mi chiedo dove possa dirigersi un Paese in cui colui che per professione “mette segni”, “insegna” appunto, deve certificare i propri “segni” attraverso un preciso numero di ore di qualche corso accreditato, dimenticando quanto quella professione non sia omologabile ad altre. Perché essa ha un feedback, quello sì, “continuo” e “permanente”, che sposta sempre i termini del tuo essere “forma”: quando correggi un compito, quando noti un comportamento, quando cerchi una soluzione relazionale, quando respiri il clima di una classe, quando tenti di muovere leggerezza, quando ascolti profondità, quando accogli emozioni, quando ripensi alle tue. In un feedback realmente continuo e permanente. Che è anch’esso formazione.

Come quel messaggio giunto a me sul far della sera. Che è stato un “segno” anch’esso. Sapere che quell’allievo di ieri ha preso una sua “forma” nell’oggi rende reali le mie lontane “visioni” sul suo divenire. E allora, quasi quasi, io autocertifico, con quel messaggio e con i pensieri che ha attivato, una manciata di tempo di “formazione”. Quanto esattamente? Q.b., come il sale. Tanto quanto basta.

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Dipinto di Banksy realizzato sulla Israeli West Bank barrier, 2005

Dipinto di Banksy realizzato sulla Israeli West Bank barrier, 2005

Un mio studente, non modello ma originale, non applicativo ma sensitivo, non eccellente nella ricerca di risultati, ma metodico cercatore di segni, mi ha regalato, per interposta persona, una risposta sorprendente. E i giorni di tali risposte, da chiunque esse giungano e in qualsivoglia forma, sono autentiche “epifanie”.

Alla domanda “cosa vorresti fare da grande” postagli da una collega, lui, quindici anni di occhi sgranati sul mondo e corpo dinoccolato per camminarlo, risponde: “Tre cose, il tatuatore, il prof di italiano, il ferroviere graffitaro“.

Va detto che il primo e il terzo “mestiere” da lui citati rientrano nel suo modus operandi, amando lui “segnare” il mondo che sperimenta. Ma la sorpresa sta nel “ritrovarmi” nel mezzo, quasi al calduccio, di tanta apparente rudezza.

Perché in quella posizione mediana “il prof di italiano” sembra quasi protetto da/tra due mestieri “forti”, parentesi estreme a difesa della delicata poesia di cui “il prof” si fa paladino.

E se apparentemente il mestiere “prof di italiano” sembra lontano anni luce dal mondo tattoos e Banksy, in realtà chi meglio di colui che “in-segna” prova a scalfire con “segni” chi incontra?

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