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Posts Tagged ‘scuola’

Qualche settimana fa, ad una manciata di giorni dalla fine dell’anno scolastico, una mia classe faceva il conto dei giorni all’alba, e tutti erano visibilmente contenti.

Eccetto un mio studente, passo profondo nel suo cammino. Mi guarda e mi confessa, a cuore aperto e mente oltre la finestra: “Prof, a me un po’ dispiace. Amo venire a scuola perché imparo cose nuove.” I compagni, inconsapevolmente miopi, in risposta: “Ma a settembre ritorniamo!”. E lui, a visione consapevolmente chiara, forse troppo, ribatte placido, come suo solito: “Ma il prossimo anno sarà un’altra cosa!“.

E così porto a casa, felicemente silenziosa, un piccolo ripasso della lezione per me più preziosa. Che il “maestro” è dietro l’angolo, e si presenta quando meno te lo aspetti. Per questo bisogna essere attenti e fiduciosi. Dentro e fuori scuola. Grazie Hartwig.

Ps: buone vacanze alle mie “bimbe” e ai miei “bimbi”, anche a quelli “bischeri”…

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Momento epifanico.

Interrogazione di Mario, sedici anni e mille pensieri. Quasi mai raccontati.

Testo scelto di De Andrè, “Le acciughe fanno il pallone”. Chiedo il motivo di tale scelta. Lampo d’orgoglio negli occhi di Mario. E nel cuore. “Io pesco, Prof! “.

E spiega, animandosi. Colonna vertebrale, sguardo, parola. Facendosi acciuga fiera, mostrandomi il suo “pallone”, il suo modo personale di nuotare nel mondo.

Assisto così ad una pesca miracolosa.

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Tema in classe.

Nicola, un mio studente di seconda liceo non sempre attento alla forma linguistica ma con uno sguardo spesso incantato sul mondo, sceglie quello sulle donne “ultime” cantate da Fabrizio De André.

Deve dare un titolo al suo saggio critico.

E qui arriva la poetica sorpresa, il regalo inaspettato. Un verso illuminato, in assonanza grata.

Felice, triste meretrice”.

Faber, ne sono alquanto convinta, avrebbe tacitamente apprezzato.

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Dedico al ministro della Pubblica Istruzione (sigh!) Valeria Fedeli e alla sua più recente intuizione (sob!), ovvero quella di permettere l’uso dello smartphone a scuola durante le lezioni, il video “Are you lost in the world like me?” di Moby, che coglie (lui sì) i segni di questo tempo.

Con la speranza che le illustrazioni di Steve Cutts coi richiami ai fumetti anni ’30, da Betty Boop a Popeye, possano restituire lucidità a chi di scuola si occupa. Anche se non in prima persona ma per sentito dire.

La nostra desolante dipendenza dagli schermi, come la definisce Moby, è forse quanto non dovremmo trasmettere a chi vogliamo cresca libero, con proprie capacità critiche, autonome visioni del mondo e autentiche interazioni con gli altri.

“Fedelmente”, espress451.

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Steve McCurry - INDIA. Jodhpur. 2007.

Steve McCurry – INDIA. Jodhpur. 2007.

Far della sera. Messaggio Whatsapp. Ex allievo lontano nel tempo, a cui torno in mente (“grazie per essere passata nei miei pensieri“) per un libro di Anna Marchesini a cui associa il mio libro di poesie: “Quindi ho ricercato il tuo blog per vedere se tutto procedeva; ho avuto nostalgia, ma una di quelle che ti fanno sbocciare un sorriso.” Dopo il passato mi aggiorna sul suo presente, fatto di canto lirico, all’Opéra di Montecarlo e tournée per l’Europa. Una costruzione iniziata quando ci siamo incontrati, due lustri fa, insegnante e allievo, con visioni mie sul futuro di lui e primi passi suoi in quello che sarebbe stato il suo oggi. E tentativi, prove, work in regress che si fa progress. Con lui, come per gli altri studenti. Ognuno coi suoi tempi e modalità e sogni. E via via qualcosa che prende “forma”, su cui credere, scommettere, applicarsi, cambiare il tiro, rivedere la rotta, navigare ancora. A volte a vista. Insieme alla convinzione però che in qualche modo, per ciascuno, si renderà palese la sua specifica “forma”.

E allora non posso poi non pensare per associazione, neppure troppo libera, alla “formazione” docenti, quella che la “Buona scuola” ha brevettato come sua scoperta, definendola “continua” e “permanente”. Ma davvero noi docenti avevamo necessità di vedere scritto per regio decreto tale lapalissiana verità? Penso ai miei libri, amati e imprescindibili compagni di viaggio. E alle scritture, di getto, meditate, rivisitate. E ai film d’autore visti in sale d’essai. E alle performance teatrali, quelle classiche e quelle sperimentali. E alla curiosità, mia bussola permanente. Che mi conduce ad un testo inedito di Leonard Cohen, ad una conferenza “liquida” di Bauman, ad una possibile associazione tra i passi solitari di Corto Maltese e a quelli non così diversi di Ulisse. Cammini miei che di necessità, anche solo osmotica, diventano passi di chi è studente “mio”.

Così mi chiedo dove possa dirigersi un Paese in cui colui che per professione “mette segni”, “insegna” appunto, deve certificare i propri “segni” attraverso un preciso numero di ore di qualche corso accreditato, dimenticando quanto quella professione non sia omologabile ad altre. Perché essa ha un feedback, quello sì, “continuo” e “permanente”, che sposta sempre i termini del tuo essere “forma”: quando correggi un compito, quando noti un comportamento, quando cerchi una soluzione relazionale, quando respiri il clima di una classe, quando tenti di muovere leggerezza, quando ascolti profondità, quando accogli emozioni, quando ripensi alle tue. In un feedback realmente continuo e permanente. Che è anch’esso formazione.

Come quel messaggio giunto a me sul far della sera. Che è stato un “segno” anch’esso. Sapere che quell’allievo di ieri ha preso una sua “forma” nell’oggi rende reali le mie lontane “visioni” sul suo divenire. E allora, quasi quasi, io autocertifico, con quel messaggio e con i pensieri che ha attivato, una manciata di tempo di “formazione”. Quanto esattamente? Q.b., come il sale. Tanto quanto basta.

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Il 18 ottobre 1886 veniva pubblicato “Cuore” di Edmondo De Amicis. Libro all’apparenza datato, che però ha ancora alquanto da ricordarci. Per esempio sul senso primo della scuola. E’ il padre del protagonista, Enrico, a sottolinearlo in una lettera al figlio.

Pensa agli innumerevoli ragazzi che presso a poco a quell’ora vanno a scuola in tutti i paesi; […] vestiti in mille modi, parlanti in mille lingue, dalle ultime scuola della Russia quasi sperdute tra i ghiacci alle ultime scuole dell’Arabia ombreggiata dalle palme, milioni e milioni, tutti a imparare in cento forme diverse le medesime cose; […] e pensa: – Se questo movimento cessasse, l’umanità ricadrebbe nella barbarie; questo movimento è il progresso, la speranza, la gloria del mondo.

Su tale pensiero soffermiamoci noi tutti, studenti-insegnanti-genitori-figli-politici-cittadini. Soffermiamoci. E poi ripartiamo. Con più lena. Perché avere “istruzione” vuol dire possedere gli strumenti per costruire il proprio “edificio” ed avere le “chiavi” per entrare in quello comune.

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Parole surreali mandate in onda ieri in un Tg nazionale.

Servizio sul nuovo anno scolastico. Piano lungo su una scuola elementare. Stacco. Primo piano su due gemelli di 9/10 anni con la madre. Domanda della giornalista: “Signora, cosa si aspetta quest’anno dalla scuola?” (Domanda originale e inaspettata). Risposta: “Visto che ogni anno i miei figli hanno cambiato maestra, ce ne fosse finalmente una che se li tiene per due anni.” (Risposta originale davvero e inaspettata anche).

Sì, la signora ha usato il verbo “tenere”, con la prossemica già in moto per raccontare il non detto: nel pronunciarsi allontanava dal proprio corpo gli amati pargoli indirizzandoli verso l’istituto.

E così si rivela, se mai ce ne fosse bisogno, il primo pensiero “scolastico” di certi genitori: la scuola quale luogo in cui qualcuno “tiene” la figliolanza, un’area di baby-sitteraggio, controllo et similia. E così il senso etico, civile, profondo di scuola ne esce, ancora una volta, tramortito.

Ma davvero a certi genitori interessa così poco di come siano “tenuti” i propri figli a scuola? E facendo cosa? E ascoltando quali storie? E imparando quali passi? Perché poi, curiosamente, a scuola si va per stare qualche ora. Ma sometimes accade che proprio lì impariamo a camminare una vita intera.

PS: Buon anno di sorprendenti camminate a tutti gli studenti. Ai miei in particolare.

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Marc Chagall, "Place de la Concorde ou Tour Eiffel, bouquet de fleurs et amants" - 1969

Marc Chagall, “Place de la Concorde ou Tour Eiffel, bouquet de fleurs et amants” – 1969

Questo è un post/lettera per la “mia” quinta T, per le mie “bimbe” e i miei “bimbi” di uno spazio-tempo infinito, troppo presto finito…

Mi sono davvero resa conto che eravamo tra noi ai “titoli di coda” quando, poco tempo fa, qualcuno di voi al termine dell’ultima lezione su Dante, tra squadernamenti e stelle, disse a tutti noi, cioè me e voi insieme, “E’ proprio finita!“. Occhi spalancati e una manciata di rammarico. Subito ne fui spiazzata ma finsi, Pessoa con me, un po’ di non capire, un po’ di non aderire a quel moto profondissimo e malinconico del cuore.

Fu però lì che si riaffacciò in me la realtà del dover “chiudere” con quel nostro tempo rituale ed ancestrale, intimo e minimo, ortodosso e paradosso. Di voi ho amato l’educazione, l’intuizione, l’ironia e l’eleganza di certi gesti. Ma ciò che resterà con me quale tratto evidente e prepotente della “mia” quinta T è la leggerezza dei cuori, quella che rincorro da sempre, quella che fa di una giornata “la bella giornata”, come ci ricorda il nostro La Capria.

E proprio sul filo della leggerezza, a tratti calviniana, a tratti kunderiana, abbiamo condiviso e riso, letto e detto, meditato e giocato. Per questo vi dedico il video della canzone “Come” di Jain. E’ leggera e bella come voi, ricca di citazioni che saprete cogliere e di gioco di cui saprete godere. Magritte, Escher, vuoto, pieno, nascondino, illusione, moltiplicazione. Che vi sia di bonheur per le nuove strade che percorrerete. Restando leggeri, seppur pieni, come palloncini di un quadro di Chagall. Buona vita a tutti voi.

Ps: Vi ho voluto bene, e più alle persone che agli studenti che siete. Confido nella vostra capacità matematica per desumerne la tara.

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Tiziano Vecellio "Caino uccide Abele" (1544) - Basilica di Santa Maria della Salute, Venezia

Tiziano Vecellio “Caino uccide Abele” (1544) – Basilica di Santa Maria della Salute, Venezia

Il Professor Umberto Eco avrebbe forse apprezzato questo calembour.

“Caino uccide Adele”, forse perché invidioso del successo della cantante inglese.

Ma il calembour è tale se riconosci il suo multiplo gioco. Se invece è inconsapevole perché di Caino, e dei suoi misfatti familiari, proprio non sospetti l’esistenza, allora cos’è? Non so, sospendo il giudizio. Però accade. Liceo, tema, titolo dettato, citazione sulla lettura: “Chi non legge a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito. Perché la lettura è un’immortalità all’indietro.

Il più sospirato “sob” scaturisce in me ripensando all’autore di tale aforisma.

Già, sei tu Professor Eco. Doppio sob. Avevi ragione a definire tale tempo con le incomprensibili parole del Pluto dantesco: “Pape Satàn, pape Satàn aleppe“.

E così sia.

Ps: Illogica per illogica, perché scegliere un tema di cui non conosco una parte, quando ne ho altri due a mia disposizione? Forse perché uno contemplava altri due personaggi, e non di soap, Ettore e Andromaca (chi sono costoro?), e l’altro il livello elementare e afasico del linguaggio giovanile. Già.

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errori

Se metà classe di una prima liceo scrive “percuotere” con la “q” (sob!), chi è autorizzato a “percuoterla” con un immaginario “scudiscio” (ancora e ovviamente con la “q”, doppio sob!) affinché sia più “efficiente” (senza “i”, ça va sans dire…)?

Ps: Non pensiate che la soluzione del problema sia la semplice “evacuazione” della classe stessa. Potreste sorprendervi o addolorarvi (dipende dai propri punti cardinali) scoprendo che il verbo “evacuare” è composto, sempre per metà classe, di “acqua”. Quindi immaginatene la grafia…

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