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Posts Tagged ‘Scrittura’

È stato un giornalista di razza, Gianni Minà. E un uomo empatico, libero e gentile.

È sufficiente guardare questa foto, un pezzo di Storia del Novecento. Gabriel García Marquez, Sergio Leone, Muhammad Ali, Robert De Niro. E poi lui, Gianni Minà, sorridente, sornione, il regista di quell’incontro.

Questa foto giustifica il mio lavoro di giornalista – scriveva – È stata fatta a Roma, a Trastevere, davanti al ristorante ‘Checco Er Carettiere’ ed è la summa di quello che è stato il mio modo di essere, del piacere che dà l’amicizia e della possibilità di riunire una sera d’estate, per un inatteso gioco del destino, cinque amici avidi di curiosità per ascoltare i racconti del più affascinante tra di noi, Muhammad Ali, un pugile, ma prima di tutto un combattente della vita. Con lui Sergio Leone, un visionario che ha dato al cinema tutta la fantasia possibile, Robert De Niro, che da molti anni viene indicato come il più prestigioso attore dell’arte cinematografica, e perfino Gabriel García Marquez, lo scrittore colombiano premio Nobel che, prima di andarsene da questo mondo, ci ha regalato le pagine più affascinanti della letteratura del ‘900. Una combriccola così è proprio irripetibile e ancora adesso non so capacitarmi di come sia stato possibile riunire, una sera a Roma, questi amici”.

Anche in questo racconto, la sua profondità e la sua levità. Grazie Gianni Minà.

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Abraham Yehoshua, scrittore israeliano di pace insieme ad Amos Oz e David Grossman, era solito dire “ho vissuto per scrivere“. E l’ha fatto fino al termine del suo viaggio terreno.

Ne “Il lettore allo specchio” ha spiegato in modo magistrale la differenza tra il “come” e il “cosa” nella scrittura, una lezione non solo per chi si inerpichi sulle vette dello scrivere, ma anche per lo spettatore/lettore di quei paesaggi. “Secondo me – affermava Yehoshua – la domanda principale è “come” qualcosa succederà, e non “che cosa” succederà. Riuscire a trattenere l’attenzione di chi legge sul come e non sul cosa è un problema che deve affrontare qualunque scrittore. E’ nei libri gialli che per lo più ci si chiede soprattutto che cosa succederà, ma dopo che si è finito il libro non ci si pensa più, mentre in altri tipi di romanzo si sa già che cosa avverrà e la domanda essenziale verte sul come. E’ lo stesso nella vita reale; nessuno si preoccupa di che cosa faremo a mezzogiorno, perché sappiamo già che andremo a pranzo. Quello che vogliamo sapere del nostro futuro è come sarà. L’equilibrio fra il che cosa e il come è l’arte dello scrittore.”

Grazie Yehoshua per avercelo spiegato così bene.

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“Altri volti”, mostra di Giuseppe Leone, esposta al Ragusa Foto Festival dal 29 giugno al 15 luglio 2012.
Leonardo Sciascia. © Giuseppe Leone

A 100 anni dalla sua nascita, Leonardo Sciascia sta nel presente in modo attuale. Persistente come certa memoria civile che ci ha insegnato a coltivare.

Con la sua scrittura analizzava e denunciava. Combattendo attraverso la penna per tentare di cambiare il mondo nella sua sete illimitata di profitti.

La scrittura – diceva – non è orpello né belletto, ma strumento di conoscenza, di lotta, di redenzione. È arma con la quale combattere ingiustizie, sopraffazioni, imposture: pazienza se il divertimento di molti lettori ne sarà sacrificato.”

Insegnando in realtà ai suoi lettori a non voltare mai lo sguardo di fronte alle storture sociali. Divenendo, da “Il giorno della civetta” a “L’affaire Moro”, un modello di scrittura civile. Necessario a futura memoria.

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– “Sei l’unica stanza che mi salva dal disordine” (da “Baciami adesso” di Enrico Nigiotti)

– “La mia solitudine / è sul fondo di un bicchiere / d’acqua che mi inviti a bere” (da “Dov’è” di Le Vibrazioni)

– “Stesa al filo teso delle altre opinioni / ti agiti nel vento / di chi non ha emozioni” (da “Tikibombom” di Levante)

– “È che il passato ci esce dalla testa / come canzoni dalla radio / amori nell’armadio” (da “Il confronto” di Marco Masini)

– “Se ogni scelta crea ciò che siamo / che faremo della mela attaccata al ramo?” (da “Eden” di Rancore)

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L’amore si può inventare? In parte, seguendone le inconfondibili e luminescenti tracce.

A volte è sufficiente una telefonata ricevuta per errore. E starci dentro, quasi per gioco, indossando panni non propri in cui però si sta e la misura sembra quella giusta. E poi il filo si avvolge su se stesso, diventando rocchetto e poi matassa. Facendone ormai parte.

Scrittura di grazia quella di José Ovejero, sia per stile che per trovata narrativa. Spiazzante. E luminosa.

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“Sono convinto che la letteratura, la buona letteratura sia un antidoto al fanatismo. La letteratura è cugina del gossip. Il gossip a sua volta è il risultato della nostra volontà di guardare dentro le finestre degli altri per sapere come vivono, cosa mangiano. La letteratura però fa un passo in più: non solo vuole vedere cosa c’è dentro la finestra altrui, ma indaga su che cosa si vede da quella finestra. La letteratura permette cioè di assumere lo sguardo altrui sul mondo. Un persona capace di vedere se stesso o l’universo con gli occhi degli altri non può essere un fanatico, perché una persona così sa che ci sono tanti modi di vedere e leggere la realtà. Un uomo o una donna che frequenta la letteratura sa che non esiste un solo linguaggio.”

Amos Oz, scrittore israeliano (Gerusalemme 4 maggio 1939 – Tel Aviv 28 dicembre 2018)

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Noi lasciamo una macchia, lasciamo una traccia, lasciamo la nostra impronta. Impurità, crudeltà, abuso, errore, escremento, seme: non c’è altro mezzo per essere qui.” – Da “La macchia umana” di Philip Roth

Scandaloso in “Lamento di Portnoy”, Premio Pulitzer con “Pastorale americana”, a lungo vicino al Nobel, Philip Roth è stato scrittore di razza. Raccontando, in modo superbo e impietoso, il mondo americano. Attraverso ansie, desideri e ossessioni dell’animale Uomo.

Ecco perché il “seme” che ci lascia è molto più che una “macchia umana”.

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Dantista di fama Vittorio Sermonti, per i suoi commenti e le sue letture del Sommo. Interpretando solo Dante e non gli altri personaggi, e senza sceneggiarlo: ” La mia voce deve compitare ciò che quel personaggio ricorda.”

Ci mancherà quel suo modo vocale di trasfondere il Poeta in chi lo ascoltava. Ma ci consegna, come altri, un vizio da coltivare, “Il vizio di leggere”, quel suo libro in cui, passeggiando tra le letture di una vita, ci confessa di una pratica condotta con “la perseveranza, con l’abnegazione, con l’inconfessabile voluttà” con cui si coltivano i vizi. Insegnandoci che tra Melville e Brodskij e Faulkner si possono inserire anche le Controindicazioni dei foglietti illustrativi di un Farmaco o l’Almanacco illustrato del calcio.

Trasformandoti cosi in un lettore “vizioso”. In possesso cioè del “meraviglioso”. Grazie Maestro.

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anatra-mandarino

Ma se dovessi proprio dire lo stile che preferisco, dirò che è quello dell’anatra, che senza sforzo apparente fila via tranquilla e impassibile sulla corrente del fiume, mentre sott’acqua le zampette palmate tumultuosamente e faticosamente si agitano: ma non si vedono“. – Raffaele La Capria, da “Lo stile dell’anatra”.

Ogni volta che vedo delle anatre scivolare con ancestrale grazia sull’acqua ripenso a questo passo di La Capria, e a quanto tutto ciò sia metafora della leggerezza, quella di scrittura, ma anche quella di stile e di vita.

Energica fatica nello zampettare, ma senza essere visti, dando sempre, di grazia, l’impressione appunto che il fare sia leggero.

Con un giocoso esito finale e pubblico del pensiero, pur dopo tanti sforzi solitari e tormentati e spesso infruttuosi.

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Qualche settimana fa ho affrontato con la “mia” (antica illusione quella per cui consideriamo sempre un po’ nostre le persone con cui ci intratteniamo…) classe seconda di liceo l’argomento “Poesia”. Complesso, lo so. Ma ogni volta so anche che tale “operazione” (capirete tra poco perché la definisco tale) mi regala albe e tramonti, direttamente sui banchi. Sarà perché la poesia è connaturata a tutti noi viventi, è solo necessaria una levatrice che porti “alla luce” la vita più intima che, interna a ciascuno di noi, già pulsa.

E così ho assistito, ancora una volta, al miracolo della nascita poetica, che è poi la nascita più autentica, profonda,  e animica di ogni essere umano. Perché entra in contatto con le parti più nascoste e potenti del sé.

Dopo aver spiegato ed esemplificato l’acrostico, ovvero quel particolare tipo di componimento, solitamente dedicatario, che porta per ogni verso nelle sue lettere iniziali un nome proprio, ho chiesto a loro di provare a scriverne uno, ricordando di raccontare, attraverso i versi, la persona il cui nome fa acrostico.

Vi riporto qualche esempio, ricordandovi che sono ragazze/i quindicenni, quelle/i che solitamente vengono descritti “sdraiati” e “smanettoni”, cioè nullafacenti, alias nullapensanti.

Fabio, nuotatore fin da bambino, si è raccontato così:

Fin da bambino/Amavo nuotare/Battevo gli avversari/In tutte le gare./Ora son sempre uguale.

Michele, solitamente tranquillo ma attento ad ogni evento, si descrive in questo modo:

Mi/Immergo/Completamente./Ho/Eleganza,/Lentezza/Esagerata.

Assia, con un suo sfaccettato mondo interno, scrive di sé:

Aiutami,/Sono/Sola/In questo/Abominio.

Sebastiano descrive la bellezza di Rebecca:

Rossa/E/Bella/E/Calda/Come la notte/Appena prima che arrivi.

Giada racconta il proprio rapporto con Edoardo:

Eravamo/Due ruote di legno,/Ora/A mala pena/Riesco a/Distinguerti nel mio/Orizzonte di tristezza.

Cosa ne dite? Possiamo ancora definirli nullapensanti?

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