Trent’anni fa, il 29 luglio 1983, fu ucciso dalla mafia il magistrato Rocco Chinnici. Considerato il padre del Pool antimafia, quello che compose chiamando a sé anche Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, fu il primo magistrato a recarsi nelle scuole per parlare agli studenti della mafia e dei pericoli della droga, perché «Parlare ai giovani, alla gente, raccontare chi sono e come si arricchiscono i mafiosi» – diceva – «fa parte dei doveri di un giudice. Senza una nuova coscienza, noi, da soli, non ce la faremo mai».
In una delle sue ultime interviste Chinnici disse: «La cosa peggiore che possa accadere è essere ucciso. Io non ho paura della morte e, anche se cammino con la scorta, so benissimo che possono colpirmi in ogni momento. Spero che, se dovesse accadere, non succeda nulla agli uomini della mia scorta. Per un magistrato come me è normale considerarsi nel mirino delle cosche mafiose. Ma questo non impedisce né a me né agli altri giudici di continuare a lavorare».
Rocco Chinnici fu ucciso con una Fiat 127 imbottita di esplosivo davanti alla sua abitazione, insieme a due componenti della sua scorta, il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi e l’appuntato Salvatore Bartolotta, e il portiere dello stabile Federico Stefano Li Sacchi. Ad azionare il detonatore che provocò l’esplosione fu il killer mafioso Antonino Madonia.