
Festival di Sanremo 2020, un’edizione che si è fatta sentire. Nel bene e nel male, acuti e stonature.
Gli acuti, in ordine di pensiero, non di arrivo. Il vincitore Diodato con una canzone che esalta le sue doti di cantautore raffinato. La presenza scenica, quasi statuaria dell’Andromeda Elodie. Levante e la sua ricerca, riuscita, di una musicalità contemporanea. Gli elaborati e studiati travestimenti in progress di Achille Lauro. Rancore e la sua rete fittissima e notevole di rime intorno al proibito della mela. La voce bella di Tosca e la sua memorabile interpretazione di “Piazza Grande”. La timbrica rock e “Gigante” di Piero Pelù, anche nel “Cuore matto” di Little Tony. La voce unica di Mika, capace di emozionare con il De André di “Amore che vieni, amore che vai”. I “Ricchi e Poveri” in formazione originaria, e nostalgica. L’energia blues di Zucchero, vero animale da palcoscenico. La denuncia asciutta e lucida, una lama nella leggerezza sanremese, di Rula Jebreal sulla violenza perpetrata sulle donne, a partire da sua madre. Amadeus, professionalità e umiltà, condite da autoironia. Fiorello, intelligenza e talento, un naturale showman. Ama & Fiore, il valore aggiunto dell’amicizia, ovvero del mutuo soccorso e divertimento. Forse l’effettiva, seppur inattesa, carta vincente del settantesimo Festival di Sanremo.
Le stonature, in ordine sparso. I “cavalli” della scuderia “Amici” (Angi, Riki, Urso), forse troppo sfruttati, forse sovrastimati. Gli eccessi di Morgan, tali da costringere Bugo ad andarsene dal palco. Tiziano Ferro, oltre misura per presenza, risultando già alla terza sera eccessivo. Pensare che una donna, solo in virtù dell’essere fidanzata di un personaggio pubblico, possa essere annunciatrice (di papere) al Festival. La finta caduta dalle scale di Ghali (Gavi per Mara Venier) e il vero strabordare del repertorio presentato. Far cantare e ballare ad ore antelucane chi meritava attenzione piena come Paolo Palumbo e Ivan Cottini, malati di Sla seppur più dentro la vita di tanti sani. L’annuncio del vincitore Diodato alle 2.30 quando già da un’ora era stato dato (spoilerato?) da Sky. La lunghezza debordante di ogni serata (cinque ore!), tale da produrre nello spettatore un effetto straniante tra la fine e l’inizio di una puntata e l’altra. E su Twitter, a riguardo, uno spettacolo in parallelo sui tempi di conclusione, coincidenti con le vacanze estive.
Ma Sanremo è Sanremo, e comunque “fa rumore”.
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