
Maria Luisa Spaziani, poetessa (Torino, 7 dicembre 1922 – Roma, 30 giugno 2014)
Cara Maria Luisa,
ricordo come fosse ieri la tua telefonata. Il trillo del fisso, mia mamma (Maria Luisa anche lei, i segni…) a rispondere e a chiamarmi: “Ester, è la Spaziani, da Roma!“. Il cuore, lì ancora oggi tutto è nitido, fece un balzo in avanti. Ma fu la voce tua, toni bassi e caldi, a defibrillarmi: “Dottoressa, è con piacere che le annuncio il conferimento del Premio Internazionale Eugenio Montale da parte del Centro Montale per la sua tesi di laurea.“
Il seguito fu una girandola: il viaggio a Parma per il Premio, la cornice del Teatro Farnese, la tua conoscenza (“la sua città è anche la mia. Fu proprio a Torino che conobbi Montale“), i tuoi sproni (“continui, deve fare ricerca adesso“), i tuoi suggerimenti (“non perda però di vista la sua poesia“). Io ero onorata, spiazzata, intimorita. Attraverso di te, la “Volpe” di Montale, respiravo il mio amato Eugenio, per me già Eusebio come solo per gli amici… E al seguito tuo, poetessa grande, i “miei” scrittori, l’autorevole Giorgio Bassani, l’elegante Mario Luzi, il fragile Giorgio Caproni, solo per citarne alcuni. Si trattò di uno di quei giorni della vita che Qualcuno per noi rende lucenti e smaltati, fino a farne icone stabili della propria esistenza.
Invitavi gli anni successivi i tuoi premiati, come li chiamavi tu, perché la comunità letteraria crescesse di nuove leve. E per me quelle premiazioni divennero una consuetudine, per poter continuare a tessere la mia tela poetica, per carpire da te “la parola che squadri da ogni lato“. Mi avevi chiesto di mandarti i miei versi, e i miei endecasillabi furono segnalati da te e dalla Commissione.
Nel frattempo a scuola inserivo i tuoi versi per i miei studenti, quelle “Latinìe” di cui mi raccontasti la genesi, la tua “Giovanna D’Arco” ottave e fuoco, “La traversata dell’oasi” che tanto trasuda del tuo alto ed elegante versificare. E ti seguivo da lontano, dalla città fredda, soprattutto nelle serate di mezza estate in cui, al tavolo dei giurati, nel Ninfeo di Villa Giulia a Roma, aprivi le schede dei finalisti del Premio Strega, declamandone i nomi, con quella stessa voce che mi rimandava ad un tempo già lontano.
L’ultima volta che ti incontrai, qualche anno fa, fu a Torino, nella hall di un albergo centrale in cui alloggiavi. Il fiammeggiare dei tuoi occhi resisteva all’incalzare delle folate di vento della vita. Ma fu la tua voce, ancora una volta, a riportarmi altrove, e a richiamarmi all’antico dovere: “Continui a scrivere, e pubblichi. Il Poeta deve essere letto.” Quasi a suggello di quei tuoi versi, “aspetta la tua impronta / questa palla di cera“.
I miei “Colloqui” divennero poi pubblici e gratificati dal Premio Pannunzio. Ma è un amuleto tuo che porto con me ogni volta che scrivo: “L’angelo della grazia passa mentre dormi“. Così, ricordando il tuo verso, uso la penna di notte, tentando di sorprendere quell’angelo.
Grazie Maria Luisa, “Volpe” cara. Anche un po’ mia.
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