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Posts Tagged ‘Premio Oscar’

Appare senza età Roberto Benigni, il nostro folletto nazionale capace di suscitare riso, commozione, riflessione. Secondo l’abito indossato.

Una comicità dissacrante la sua, che usa in maniera sapiente il linguaggio del corpo insieme ad un talento che sa cogliere i diversi registri umani. Così è “Il piccolo diavolo”, “Johnny Stecchino”, “Il mostro”, ma anche “Pinocchio”, sia figlio che padre. Per non parlare della surreale coppia in viaggio nel tempo in “Non ci resta che piangere”, in cui la magica complementarietà con Massimo Troisi diventa un cult in numerosi sketch del film, quasi novelli Totò e Peppino in un mondo rinascimentale.

Ma è ne “La vita è bella”, tre Premi Oscar, che Benigni compie il miracolo, pescando in sé la vena malinconica e struggente sottesa alla battuta mordace. Raccontare l’orrore della Shoah ad un bambino attraverso lo strumento del gioco fiabesco sembrava una sfida azzardata, eppure vinta tra lacrime e sorriso.

Non si può però dimenticare la capacità affabulatoria e recitativa di Roberto Benigni, sommo attore per il Sommo Poeta. Le sue “lezioni” su Dante hanno avvicinato alla Commedia anche chi faticava a leggerla. Insieme al suo racconto appassionato intorno alla nostra Costituzione, “La più bella” la definì, e i Dieci Comandamenti, quasi un memorandum dell’agire etico di ogni uomo.

E in ogni campo sempre con quella scanzonata leggerezza, che è poi profonda riflessione sulla natura intrinseca dell’umano. Tenendo presente, come ci ricorda lui, di essere felici, “e se qualche volta la felicità si scorda di voi, voi non scordatevi della felicità”. 

Quindi auguri di felicità a te Roberto, e buon Settantesimo!

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Elegante sempre Sidney Poitier, nei modi e nelle parole, sul set ma anche nelle sue battaglie per i diritti degli afroamericani. Quella classe innata che non gli fece mai alzare i toni, perché non sarebbe stato affatto utile, come raccontò nella sua autobiografia “La misura di un uomo”: «Ho imparato a trasformare la mia rabbia in qualcosa di positivo, altrimenti mi avrebbe distrutto».

Il successo arrivò proprio affrontando quelle spinose tematiche di segregazione razziale che il mondo aveva iniziato a conoscere con il “sogno” di Martin Luther King. Così Sidney Poitier divenne il primo attore protagonista afroamericano ad ottenere il premio Oscar nel 1964 per l’interpretazione nel film “I gigli del campo”. Ma i ruoli più famosi saranno quelli di Virgil Tibbs ne “La calda notte dell’ispettore Tibbs” e di Warren Stantin in “Sulle tracce dell’assassino”.

Anche se sarà il personaggio di John Prentice in “Indovina chi viene a cena”, forse la cena più famosa della storia del cinema, a rimanere impresso. Poitier in questo film appare, non solo scenicamente, come un corpo estraneo, seppur dirompente nella sua chiarezza d’intenti. Infatti la famiglia borghese che deve accoglierlo era gruppo coeso anche nella realtà: Spencer Tracy e Katharine Hepburn erano sentimentalmente legati, e Katharine Houghton, la figlia cinematografica della coppia, era la nipote della Hepburn. Ciò nonostante, e a fronte di due mostri sacri del cinema, Sidney Poitier risulta essere, nella sua elegante e caparbia capacità attorale, il nuovo che avanza. Democratico e giusto.

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Il regista Quentin Tarantino lo ha annoverato tra i più grandi compositori di tutti i tempi, facendo i nomi di Mozart e Beethoven.

Doverci ora “accontentare” delle melodie che il Maestro Ennio Morricone ci ha consegnato sottolinea con tristezza il senso di finitudine insito nell’umano.

Anche perché la sua musica è sempre stata epifanica. Capace di evocare, nelle profondità di ciascuno, emozioni ancestrali, regalando potentissime illuminazioni. Suono e immagine in un’unica traccia mnestica, filmica o personale. Attraverso un’armonica piuttosto che un trionfo di archi, dai vocalizzi ai colpi di pistola, da un semplice fischio ad un magistrale assolo di oboe.

Se in origine eravamo dei suoni, mi pare bello pensare che torneremo ad esserlo“, amava dire Ennio Morricone.

Al Maestro, con gratitudine, auguriamo di essere tornato suono. Sublime e altissimo.

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Le note del Premio Oscar Ennio Morricone sono immediatamente riconoscibili. E propriamente visibili.

Perché al loro dipanarsi uditivo è fulmineo l’apparire delle scene filmiche che ne hanno scatenato la composizione.

Le immagini sfilano così davanti ai nostri occhi, anche senza rivederle.

Dalla sequenza sgranata dei baci cinematografici in “Nuovo Cinema Paradiso” alla drammatica scena cimiteriale del “triello” ne “Il buono, il brutto, il cattivo”, dal sogno oppiaceo e struggente di Noodles/De Niro in “C’era una volta in America” all’assolo di Gabriel tra i nativi sudamericani in “Mission”. Per ricordarne solo alcune.

Forse è per questo che Ennio Morricone è un Maestro delle colonne sonore. Perché compone musica sublime facendola aderire, quale vestito di alta fattura, al film da musicare. Nota e fotogramma intrecciati in un connubio superiore. Uno di quei matrimoni che, se ben riusciti, durano per sempre. In virtù di un sommo sacerdote ad officiare tale rito.

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Mi piace questa definizione dell’umana bellezza.

La fa dire il regista Paolo Sorrentino al personaggio di  Jep Gambardella (alias Toni Servillo) nel film “La Grande Bellezza”:

Finisce sempre così. Con la morte. Prima, però, c’è stata la vita, nascosta sotto il bla bla bla bla bla. È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore. Il silenzio e il sentimento. L’emozione e la paura. Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile. Tutto sepolto dalla coperta dell’imbarazzo dello stare al mondo. Bla. Bla. Bla. Bla. Altrove, c’è l’altrove. Io non mi occupo dell’altrove. Dunque, che questo romanzo abbia inizio. In fondo, è solo un trucco. Sì, è solo un trucco.

E nel film, che stasera si può rivedere sulla Tv generalista, quegli “sparuti incostanti sprazzi di bellezza” si annidano in uno sguardo, in un tramonto, in un ricordo. Con lo scorrere del tempo inarrestabile come l’acqua di un fiume.

Forse però… “in fondo, è solo un trucco“.

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"Galleria dei Re", Museo Egizio - Torino

“Galleria dei Re”, Museo Egizio – Torino

Il nuovo Museo Egizio di Torino è stupefacente. Soprattutto per l’allestimento scenografico. Firmato da un tre volte Premio Oscar quale Dante Ferretti.

Le “sue” luci” regalano la sensazione di essere su un set. Di un film storico o dell’Aida.

E per quanto il lavoro filologico sui reperti e architettonico sul restauro sia di sicuro valore, è l’ingresso nella “Galleria dei Re” a proiettarci, orologio a ritroso, nella Valle del Nilo. Attorniati e incantati da sguardi ieratici.

E per questo, ancora oggi, orologio in avanti, ermetici e ammaliatori.

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