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Posts Tagged ‘pioggia’

E infine la tanto attesa pioggia è giunta.

Sarà per una sacca atlantica che si è fatta strada, sarà per le reiterate preghiere propiziatorie, sarà quel che sarà, il cielo ci sta finalmente regalando acqua.

Ma non tutto è bene quel che ben finisce. Perché i problemi restano.

Il terreno risulta talmente secco da avere un suono sordo e l’acqua, invece di imbibirlo dandogli benessere, gli scivola sopra come su di un telo impermeabile.

Le città continuano ad essere contenitori di anidride carbonica e polveri sottili, così che l’acqua in arrivo non è sufficiente a lavare l’aria mefitica.

E noi umani? Rischiamo di scordare il buon odore della pioggia, quello che dilava l’anima, trascinando a valle dei nostri pensieri le nuvole interne.

Eppure siamo noi ad avere reso l’arrivo della pioggia un evento sempre più raro. Stendendo un velo sul nostro cielo.

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"I fiori di Hampstead" (London) - Photo by Ester Maero

“I fiori di Hampstead” (London) – Photo by Ester Maero

Prodotti di primavera: fiori in sboccio, vita che si rigenera, semi da invasare, pioggia a dilavare, verde a dismisura.

Ma un verde giovane, colore ancora balbettante nel suo farsi, con entusiasmo e allegria tra le striature.

PS: Cinque anni fa “partiva” espress451. Un “verde” con striature già dense…

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stivale italia

Gli italiani di buona volontà indossano sempre più gli stivali.

Per spalare il fango tracimante da un terreno che ormai urla nient’altro se non vendetta dopo decenni in cui ha sentito estirpare dalla propria “pelle” quegli alberi le cui radici lo drenano e lo trattengono.

Dei fiumi, poi, che esondano non tanto per la nuova quantità d’acqua che scende dal cielo (pensavamo che l’effetto serra fosse semplicemente un curioso e nuovo modo di dire…) quanto per avere gli alvei occupati da tutto eccetto che da se stessi, si è già detto alquanto.

Che sia solo un caso che la forma del nostro Paese sia uno Stivale?

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alsazia-in-francia

Una vigna che sale sul dorso di un colle fino a incidersi nel cielo, è una vista familiare, eppure le cortine dei filari semplici e profonde appaiono una porta magica. Sotto le viti è terra rossa dissodata, le foglie nascondono tesori, e di là dalle foglie sta il cielo. È un cielo sempre tenero e maturo, dove non mancano – tesoro e vigna anch’esse – le nubi sode di settembre. Tutto ciò è familiare e remoto – infantile, a dirla breve, ma scuote ogni volta, quasi fosse un mondo. 
La visione s’accompagna al sospetto che queste non siano se non le quinte di una scena favolosa in attesa di un evento che né il ricordo né la fantasia conoscono. Qualcosa d’inaudito è accaduto o accadrà su questo teatro. Basta pensare alle ore della notte, o del crepuscolo, in cui la vigna non cade sotto gli occhi e si sa che si distende sotto il cielo, sempre uguale e raccolta. Si direbbe che nessuno vi ha mai camminato, eppure c’è chi la lavora a tralcio a tralcio e alla vendemmia è tutta gaia di voci e di passi. Ma poi se ne vanno, ed è come una stanza in cui da tempo non entra nessuno e la finestra è aperta al cielo. Il giorno e la notte vi regnano; a volte vi fa fresco e coperto – è la pioggia -, nulla muta nella stanza, e il tempo non passa. Neanche sulla vigna il tempo passa; la sua stagione è settembre e torna sempre, e appare eterna.

Da “La vigna” di Cesare Pavese

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Quando la pioggia comincia il suo incedere battente, ci accorgiamo del disagio.

Perdendo di vista la bellezza della cera che la Natura passa sul lastricato.

Rendendo lucidi sia i passi che i pensieri.

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sardegna

Un pensiero al dramma che sta vivendo questa terra, scheggia d’Italia sdraiata in un mare di smalto, ora ferita da un’acqua impazzita e furiosa.

Con la speranza che la Sardegna torni presto ad essere quella descritta da Elio Vittorini in “Sardegna come un’infanzia”, in cui si sente l’odore “del sole. Di fuoco puro, privo d’ogni acredine di combustibile. E di pietra secca. Ma di brughiera anche. E di spoglie di serpi“. Con quella solitudine densa e piena, ma vitale “di ogni cosa, di ogni rupe che par chiusa in se stessa meditando, e d’ogni albero o viandante che s’incontra“. E una luce speciale, “assai al di là dell’orizzonte“.

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Cosa ne pensate dei miei nuovi stivali da pioggia con cui inauguro il mese di ottobre?

Intanto sono centimetrati, così le misure dell’acqua piovana le prendo da sola, senza l’aiuto dei signori meteo.

I pesciolini, che io amo tanto, sembrano essere attirati dalla foggia non proprio consueta della calzatura.

I tacchi chiodati poi mi permettono non solo di evitare antipatiche scivolate, ma anche di poter bypassare eventuali mosse balotelliane.

Purtroppo, quelle sì, ancora di moda.

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Continua a piovere.

Come se anche le stagioni, in questo strano tempo, fossero confuse.

Con le coordinate di riferimento sbiadite, opache, dilavate.

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L’ora si è fatta corta e buia.

Il cielo è gonfio di acqua grigia.

Liquide lancette scardinano i nostri inquieti passi.

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Aprile è il mese più crudele, generando
Lillà da terra morta, confondendo
Memoria e desiderio, eccitando spente radici
Con pioggia della primavera.
L’inverno ci mantenne al caldo, coprendo la terra di neve smemorata,
Nutrendo con secchi tuberi una vita misera.

Aprile è il mese più crudele“, scriveva il poeta Thomas Stearns Eliot nella sua “Terra desolata”.

Fatico, ogni volta che leggo questi versi, a comprenderne a fondo l’essenza. Ma non stento a crederlo ripensando al fatto che la notizia del pesce d’aprile di ieri è la A, mentre le altre due sono “crudelmente” autentiche.

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