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Posts Tagged ‘New York City’

L’11 settembre 2001 iniziò il XXI secolo.

Come spiega il filosofo Mauro Carbone quel giorno di settembre ci siamo trovati a morire insieme, cioè a condividere uno shock collettivo in quanto testimoni oculari della morte di altri.  È questa esperienza che va indagata e ed è da questa esperienza che bisogna ripartire, perché in fondo il fatto di “essere morti insieme” tiene al suo interno la possibilità stessa di essere vivi insieme, cioè di aprire uno spazio di condivisione collettiva a partire dalla quale la collettività stessa si ridefinisce.

Ciò è particolarmente utile per le generazioni future. Di modo che diventi possibile una necessaria memoria transgenerazionale.

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Il Memoriale in bronzo a Ten House, New York City

Il FDNY Memorial è un tributo ai vigili del fuoco newyorkesi scomparsi nel tentativo di salvare vite dopo l’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001.

Il monumento commemorativo, una lastra in bronzo di oltre sedici metri di lunghezza e due di altezza, si trova proprio di fronte al 9/11 Memorial, e raffigura le tragiche immagini degli attentati che portarono alla distruzione del World Trade Center.

Si vedono i vigili del fuoco nella loro instancabile ed eroica lotta per salvare le persone intrappolate negli edifici già colpiti e avvolti nel fumo. Alla base del bassorilievo l’elenco dei 343 pompieri che quel giorno persero la vita.

Ricordo che lo scorso anno, soffermandomi di fronte a questa scultura, sentii per frammenti l’incredulità, la tragedia, il dolore di quel luogo in quel giorno.

Anzi, in quella notte che scese su New York e il mondo intero.

“Ultimi (pilastri) sopravvissuti” – Photo by Ester Maero – 9/11 Memorial, NYC

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Un luogo iconico per tutti Central Park di New York City. Anche per chi non ci è mai stato. Luogo filmico in cui ci si incontra, ci si innamora, si corre, si annusa la primavera e si gode l’inverno.

Ora un immenso ospedale da campo. Con le tende bianche a sfregiare il verde. Un polmone immenso e ferito. Segno d’altro.

Con lo spettro paventato dall’amministrazione americana che possa trasformarsi ancora, e verso il peggio. Diventando una sterminata collina di Spoon River.

Ps: esserci stata lo scorso anno in questa stagione mi provoca i brividi. E ripenso alle parole del poeta T.S.Eliot sulla “crudeltà” del mese di aprile…

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Esserci stata, in quel luogo di terrore e dolore e oggi di memoria, ha fatto virare la mia percezione di quella data ormai tristemente storica, 11 settembre 2001 New York City.

Ho respirato un perimetro di tristezza, in cui l’acqua scende verso il basso, fondamenta di quelle torri, un tempo gemelle come oggi le liquide vasche, “Reflecting Pools”, coi nomi incisi di chi è stato vittima di un atto terroristico impensabile.

In una città come New York in cui tutti camminano sempre veloci, il “9/11 Memorial” è invece un’area di lentezza e silenzio. I passi che lì muovi sono un viaggio verso il fondo di quel giorno tanto buio. Pur con il “Survivor Tree”, l’albero sopravvissuto a tanta distruzione, ad ergersi quale simbolo della vita stessa.

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Volo aereo.

Dieci passeggeri cadono addormentati e al risveglio scoprono di essere i soli occupanti del velivolo. Dove sono finiti tutti gli altri? Quale distorsione temporale o altro accidente di Kronos ha agito nottetempo?

L’atterraggio in un aeroporto senza alcuna forma di vita, in cui anche suoni e odori hanno perso le note caratteristiche, sprofonda il lettore in una realtà distopica.

Stephen King in “The Langoliers” riesce così a creare, come sempre, suspence e curiosità. In una narrazione che cattura per fluidità di linguaggio e capacità di rendere reali gli incubi umani.

Il tempo si distrugge da solo una volta trascorso? Tornare indietro nel tempo cosa comporta? Quali gli effetti collaterali del viaggio lungo l’asse temporale?

Lettura ad alto tasso adrenalinico.

Che mostra alcune interessanti connessioni con “Manifest”, la serie televisiva NBC sul mistero del volo 828 Montego Air Flight da Giamaica a New York City, atterrato dopo una turbolenta trasvolata di poche ore, quando in realtà sono trascorsi cinque anni dal decollo, e tutti i passeggeri e l’equipaggio sono stati considerati dispersi.

La serie è già un cult e i produttori si apprestano alla seconda stagione. Perché da sempre il viaggio nel tempo affascina l’uomo.

reo di linea cadano addormentati durante iiaggio per poi scoprire, al proprio rsveglio, di essere gli unici occupanti deelivolo; non migliore è la situazione al di fuori,

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Coincidenza curiosa che il blackout che ha spento e fermato New York City l’altra sera sia avvenuto proprio nello stesso giorno del Grande Blackout del 1977, il 13 luglio.

Sabato sera Manhattan è infatti rimasta al buio per cinque ore, con 72mila newyorchesi senza corrente elettrica, per un problema su una centralina della ConEdison. Persone chiuse negli ascensori, metropolitana ferma, semafori spenti, traffico in tilt.

E proprio il 13 luglio, come la notte dello storico blackout del 1977, quando l’intera New York rimase senza corrente elettrica, con rivolte urbane, incendi, scontri e razzie. Quella fu una “Città in fiamme”, come racconta magistralmente il romanzo di Garth Risk Hallberg.

Sabato sera è andata meglio. Anche se vedere così scura la città dalle mille luci, quella che non dorme mai, ha provocato, almeno in me, una sensazione di straniamento.

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“Mentre ero lassù (guardando giù)” – Photo by Ester Maero

Ad un mese dalla mia avventura in terra newyorkese, tento di capire quanto abbia mutato il mio paesaggio interiore muovere i primi passi nel Nuovo Mondo.

Cosa ha significato per me mordere, gustare, digerire, assimilare la Grande Mela?

È stato l’incontro con un mondo in continuo movimento. Rigenerante però, mai delirante. Per la sensazione che tutto può accadere, in qualsiasi momento. E che ogni cosa forse è possibile.

Provando l’ebbrezza di sentirsi al centro del mondo insieme a chi ti sta intorno, in completa integrazione e con un culto speciale per la libertà. Senza mai invadere l’altro. Usi, cibi, costumi, parole a convivere pelle a pelle, in un energetico melting pot.

Un luogo in cui è forte l’esperienza di straniamento, quasi vivessi ogni ora su un set cinematografico. Che è pur vero, perché in ogni dove vedi pellicole già viste sbobinarsi: “Manhattan”, “Taxi driver”, “Harry ti presento Sally”, “Colazione da Tiffany”, “C’è posta per te”, “Il maratoneta”, “C’era una volta in America”.

Come se, anche essendoci dentro, in New York City, non ci credessi mai del tutto. Lo descrive bene il giornalista  del “New Yorker” Adam Gopnik: “Perfino quando ci stabiliamo qui a New York, in qualche modo questa città sembra sempre un luogo a cui aspirare”.Tra grattacieli, hot dogs, frenesia, potenzialità.

Uno stato della mente, come ho letto un giorno in un caffè. Uno skyline di energia emotiva.

“Mentre ero là (guardando da qua) – Photo by Ester Maero

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“NYC, ricordi riflessi” – Photo by Ester Maero

Al “New York City Memorial Stair Climb” tributo speciale ai pompieri morti nelle Torri Gemelle l’11 settembre 2001. Si tratta di una gara, tra più di quattrocento vigili del fuoco di tutto il mondo, a salire di corsa gli ottanta piani del grattacielo Wtc 3 con venti chili di peso in spalla, ovvero elmetto, bombole, attrezzi, respiratori. Come le squadre di quel giorno. Avendo da poco visitato il “9/11 Memorial” di New York, un mio pensiero a tutti i caduti di quella follia di inizio millennio.

Oggi è anche la giornata di un altro ricordo tragico. Settant’anni fa il Grande Torino, il gruppo degli “Invincibili”, periva a Superga nel volo di rientro da Lisbona. Se ne andava all’improvviso, in un pomeriggio fosco e temporalesco, una squadra di calcio scolpita nel ricordo di tutti, non solo dei suoi tifosi.

Ps: tributo personale a mia mamma, nel giorno che per me continua ad essere luminoso del suo genetliaco. Seppur nell’Altrove.

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Sembra escluso il collegamento tra l’incendio di Notre-Dame di Parigi e i mozziconi di sigaretta ritrovati in loco, ma gli operai che vi lavoravano hanno ammesso di aver fumato nonostante il divieto.

Due riflessioni. La prima. Nonostante il no, niet, non si deve, forbidden, vietato, interdit, sempre più persone scambiano il concetto di divieto con quello di consiglio.

La seconda è una riflessione – confronto sul divieto di fumo. Che a New York City è talmente in uso in ogni dove da considerare ormai il fumo pratica desueta. È vietato fumare anche in strada e nei parchi, e quasi nessuno tenta l’abuso perché, oltre che mal visto, una divisa solitamente si avvicina e ti sottolinea la tua contravvenzione.

A monito che l’applicazione della regola è necessaria tanto quanto la regola stessa.

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“Spring in NYC” – Photo by Ester Maero

A New York la gita “fuori porta” si fa senza lasciare “casa”. Semplicemente scegli il tuo parco preferito ed è Pasquetta.

La scelta è però determinante per la “gita”.

Si va infatti dal piccolo parco privato di Gramercy Park, di cui solo i residenti che si affacciano sul giardino possiedono le chiavi, al verde infinito di Central Park, in cui ogni angolo è nell’immaginario filmico di ciascuno.

Per chi vuole respirare aria di libertà, Battery Park con il lungofiume e lo sguardo su Lady Liberty. Per chi invece predilige l’atmosfera della vecchia New York e dei suoi primi grattacieli, Madison Square Park all’ombra del Flatiron Building.

Se ci si vuole rilassare in un ambient universitario sarà il Washington Square Park la meta ideale, anche perché la New York University considera questo parco come cortile del proprio campus. Se però si vogliono emulare i Presidenti nelle loro corse mattutine, l’Hudson River Park sorveglierà discreto i nostri passi.

Ovunque sia, ci si sentirà “a piedi nudi nel parco”.

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