La figura della “sguattera” (purtroppo un gradino sotto il suo corrispettivo maschile) è balzata improvvisamente ai “disonori” delle cronache per intercettazioni che raccontano ben altro. Ma anche il contorno tratteggia i personaggi.
E così un mestiere, che mai noi poveri mortali avremmo associato alle alte sfere del potere, è diventato simbolo di sottomissione da parte di chi, sulla carta almeno, non ne avrebbe avuto alcun motivo.
Ma le donne, ce lo hanno insufflato dall’origine della vita sul Pianeta, è bene stiano sempre un passo indietro ai propri uomini di riferimento. Perché in fondo valgono meno. Il motivo resta oscuro, ma lo si accoglie per via subliminale come assunto di base.
Ciò che invece risulta meno scontata è l’associazione del mestiere “sguattera” ad uno Stato, il Guatemala, che seppur povero è definito “Paese dell’Eterna Primavera” e che abbiamo meglio conosciuto per aver dato i natali ad un illustre Premio Nobel per la Pace, Rigoberta Menchú, che da bracciante agricola migrante si è sempre spesa per la protezione delle minoranze, essendo, lei sì, autentica “sguattera”. Ovvero “colei che si prende cura della collettività e delle risorse comuni, quali l’acqua e la terra”.
Per questo motivo bisogna porre attenzione nel raccontarsi con epiteti che solo in apparenza sembrano negativi e vittimistici. In certi casi non lo sono, e fregiandosene si millanta. Senza alcun diritto a ricevere né solidarietà né comprensione.