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Posts Tagged ‘mascherina’

È trascorso un anno, ma sembra un secolo, da quando tutto ebbe inizio.

È cambiata la nostra percezione del tempo, in continua tensione come un elastico, e quella dello spazio, in stretta torsione su inedite metrature.

I giorni si assomigliano l’uno all’altro, quando va bene. Le stanze diventano sempre più strette, quando va male.

Le notti si sono dilatate occupando spazi di luce. L’orizzonte, sempre meno visibile, si è ristretto. Fuori e dentro.

Mutate le relazioni. No abbracci, no baci. Sguardi fuggenti, parole nervose.

Schizoide il lavoro. In overdose bulimica tra pericolose consegne sul filo di un tempo immobile e compulsivo smart working di respiro orwelliano. Sempre che sia sopravvissuto, il lavoro.

La salute sospesa, tra paura e pericolo e azzardo e mancanza. Persino la lacrima, antico lavacro, rischia contagio. Quindi si asciuga. Involuzione meccanica. E triste.

La leggerezza un ricordo. La grazia un privilegio. La speranza una sfocata inquadratura.

Ma la primavera appare a portata di data. Seppur qualche nota risulti ancora stonata.

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La parola, ormai evocatrice di scenari drammatici che si sperava superati e lontani, viene solo sussurrata. Ma ormai da qualche giorno in modo sempre più insistente. Associandola a cupi scenari di contagi esponenziali, sanità al collasso, rivolte sociali, economia in caduta libera.

I numeri, ci insegnano, non ci mentono. Eppure è come se volessimo convincere i nostri circuiti neuronali che “andrà tutto bene”, seppur quell’ottimistico motto sembri già appartenere ad un’altra era.

La classe politica d’altra parte, sempre più piccina e miope, cerca di nascondere sotto il tappeto di una comunicazione ormai stanca e non più credibile, la polvere attossicata di un contagio che non è solo più sanitario, seppur virale. È un contagio di rabbia, intolleranza, violenza, frustrazione, incertezza, stanchezza. In un crescere continuo, insieme ai numeri, di emozioni esplosive.

Sembriamo tutti più incapaci, ciascuno nel suo, a comprendere la necessità ormai stringente di rispettare le regole e accettare rinunce. Dalla mascherina indossata e bene, finalmente tutti, senza più farse teatrali, all’assenza della palestra e del cinema e del ristorante, perché in questo momento non è possibile. Perché la salute viene prima di tutto, nonostante. L’Ilva di Taranto è lì a ricordarcelo da anni.

È un sottinteso che le categorie più colpite debbano essere ristorate, e da subito. Ma non dimentichiamo quei settori che durante questa pandemia hanno raddoppiato quando non triplicato gli utili. Si chiedano anche a loro dei sacrifici per il bene dell’intero Paese, per il bene di noi tutti.

E se è necessario chiudere quasi tutto a chiave, lo si faccia. Prima che sia troppo tardi, prima che si debba buttare la stessa chiave.

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Scuola, su cosa sorvolare?

Forse sui nuovi banchi con le rotelle. Anche se… Davvero gli adolescenti con quelle ruote staranno immobili? E si è già pensato a come smaltire una catasta imponente di vecchi banchi, che nel frattempo occupano spazio, di questi tempi tanto agognato?

Potremmo forse glissare su chi controlla che cosa. La temperatura corporea sembra destinata a diventare affare di famiglia. E la mascherina col naso allegramente esposto, vezzo ormai largamente diffuso, andrà sanzionata interrompendo in modo metrico ogni tentativo di lezione? E il ricambio d’aria sarà garantito nonostante le lamentele dei discenti che hanno sempre freddo anche quando l’aria interna all’aula è asfittica e maleodorante?

Ma sono quisquilie, si può procedere su cose più serie. Forse sul numero alto di persone che si incroceranno sul trasporto pubblico tra le 8 e le 9 del mattino, rendendo una barzelletta il distanziamento sociale? Del resto ci siamo già allenati sui treni regionali di pendolari e vacanzieri.

Arrivo a dire che ormai faccio finta di nulla persino quando il Gotha televisivo, giornalisti politici e soloni vari, parla degli otto milioni di studenti che devono essere in sicurezza, dimenticandosi di altri due milioni di persone, docenti e personale scolastico, che di quei ragazzi si occupa materialmente.

Su cosa però non posso fare finta che “tutto va ben, tutto va ben”, è quando risento dire per l’ennesima volta che “in Italia dal 5 marzo non si sono più fatte lezioni”. A parte che le lezioni si tengono e non si fanno, perché nessuna trasmissione giornalistica ha la decenza di sentire la voce di qualche docente? Ma voi che pontificate sul tutto e sul nulla, dove eravate in quelle mattine in cui, attraverso le lezioni, a distanza solo per i devices usati, con i miei studenti si cercava di leggere la fatica virale del mondo, analizzando tracce del dramma attraverso testi antichi e parole che fungessero da nuova mappa? E che dire delle notti, in cui le mail di questi adolescenti mi giungevano con quel carico pesante di ansia, paura, dolore? Dove eravate quando quegli stessi ragazzi si preparavano con scrupolo e profondità al loro esame di stato in epoca Covid19?

E anche se, come dice Pessoa, “il poeta è un gran fingitore“, quando vi sento parlare della scuola non riesco più a far finta che tutto vada bene.

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Tra visite ad affetti stabili e passeggiate allungate ci immaginiamo già un mondo di normalità che non sarà. Anzi, in un clima di gran sbornia collettiva, si rischia di perdere la bussola, fatta di distanza e mascherina.

Perdiamoci nei nostri futuribili “vorrei”, ma tenendo ben presenti i “non posso”. A favore di tutti noi. Magari con uno “Smile”, come canta Madeleine Peyroux.

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