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Posts Tagged ‘lingua italiana’

Settecento anni fa, il 14 settembre 1321, si spegneva in esilio a Ravenna il Sommo Poeta, Dante Alighieri.

Ci ha lasciato in eredità lingua italiana, pensiero acuto, invenzione geniale. E molto altro, che ancora non comprendiamo nella sua interezza.

Ma anche non capire, come scrisse Giorgio Manganelli nel 1984 sul “Corriere della Sera”, è importante: “Dante è un enigmatico, e almeno una volta accettiamolo per quel che è. Ha i suoi motivi per non farsi capire subito, e qualche volta per essere assolutamente impenetrabile. È una corsa stremante tra luci e tenebre, stelle, lune, soli, misteriosi frammenti di edifici regali e sacri, con mutile, occulte scritte. Il percorso è talora nitido, geometrico; talora è paludoso, è uno strisciar tra cunicoli ed antri. Non capire è importante“.

Perché Dante ha intravisto oltre l’umano, sfiorando l’inconoscibile. Consegnando ai posteri frammenti preziosi di Azzurro. Ossia di Bellezza, che spesso ci rende muti perché quasi sempre non comprensibile.

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Domenico di Michelino, “La Commedia illumina Firenze” – 1456

Il 25 marzo è la giornata nazionale in memoria del poeta Dante Alighieri e quest’anno ricorrono inoltre i 700 anni dalla sua morte, avvenuta il 14 settembre 1321 a Ravenna.

La data del 25 marzo è stata scelta perché, secondo gli studiosi, sarebbe la data d’inizio del viaggio nell’aldilà della “Divina Commedia”, tra la notte di giovedì 24 e venerdì 25 marzo del 1300, anno in cui Dante Alighieri aveva 35 anni, “nel mezzo del cammino di nostra vita“.

Occasione non solo per Firenze e per l’Italia, ma per il mondo intero, di celebrare il Sommo Poeta, da considerarsi senza dubbio il padre della lingua italiana per la sua felice intuizione di innalzare il volgare a lingua letteraria, consegnando così uno strumento in grado di unificare un Paese. E donando così all’uomo di ogni tempo e spazio la possibilità di uscire a “riveder le stelle”. 

Ps: Auguri anche a Venezia, “pesce” cangiante e multiforme da 1600 anni.

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Guardo alla vicenda piccola seppur paradigmatica di Luis Suàrez, calciatore uruguaiano in cerca di ingaggio e vocabolario.

Per ottenere l’attestazione di conoscenza di lingua italiana necessaria per ottenere la cittadinanza, e quindi il contratto fuori quota extracomunitaria con la Juventus, fa carte false insieme alla squadra. Quindi l’esame di italiano, per il quasi nostro attaccante uruguaiano, diviene farsa, con i verbi suoi all’infinito e le richieste linguistiche dei prof intorno a parole identiche nelle due lingue, “melone” e “supermercato”. Ma sarà un caso.

Allora penso a certi miei studenti alquanto refrattari alla lingua italiana, anche quando di lingua madre seppur matrigna, che considerano il congiuntivo un modo più oftalmico che verbale. E penso però anche alla fatica e alla caparbietà di alcuni di loro nel voler portare a casa il risultato, per migliorarsi e inorgoglire le famiglie che con sacrifici li fanno studiare.

E a questo punto della mia pensata vedo con nauseabonda tristezza allargarsi a dismisura il divario tra chi paga per comprarsi un vocabolario per studiare e chi si compra direttamente lo studio senza alcun vocabolario.

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Un inizio d’anno che ci lascia scevri del linguista Tullio De Mauro e del critico letterario Claudio Gorlier.

Linguista di alta caratura il primo, capace di cogliere l’uso delle parole nella storia del nostro Paese, studioso della letteratura di lingua inglese il secondo, capace di intuire la grandezza di scrittori quali Philip Roth e Gore Vidal.

Sempre attento Tullio De Mauro ai cambiamenti linguistici in Italia, solo un anno fa aveva dichiarato “Il 70% degli italiani non capisce quello che legge“, denunciando ancora una volta il rischio di analfabetismo funzionale.

L’anglista Claudio Gorlier aveva curiosamente ispirato a Fruttero, suo compagno di banco al liceo, il personaggio dell’americanista Bonetto nel romanzo “La donna della domenica”, colui che spiega al commissario Santamaria l’indizio chiave, ovvero la parola piemontese “pera“, in italiano “pietra“, e che diventa famoso sottolineando che “non si dice Boston, ma Baaastn“. Ma lo studioso Gorlier, il primo a vincere una cattedra di letteratura americana in Italia, era anzitutto un critico acuto ed intuitivo, che aveva frequentato i grandi scrittori del Novecento italiano, da Pavese a Fenoglio, da Calvino a Levi.

Per me il Professore Claudio Gorlier resta un incontro inaspettato e prezioso. Fu il mio controrelatore alla tesi di laurea su “Eugenio Montale e la letteratura anglosassone”. Persona di profonda cultura e raffinata ironia, mi fece cogliere il valore della traduzione quale “tradimento”. Un cammino di senso, tra le parole.

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