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Posts Tagged ‘La donna della domenica’

È proprio difficile da digerire la mortalità. Perché ti costringe a prendere atto che il gioco è concluso, che chi ti faceva pensare, divertire, sognare, non è più di tale umana e finita dimensione.

Jean-Louis Trintignant per tutti noi spettatori è stato uno splendido regalo. Da scartare, per pensare, divertirci, sognare. Lo è stato col film di Dino Risi “Il sorpasso”, per cui la scena cult in auto con Vittorio Gassman è da incartare come un cioccolatino per chi camminerà in futuro sulla Terra. Lo è stato con il mitico “E Dio creò la femmina” di Roger Vadim, in cui dà luce in controcanto ad una Brigitte Bardot non ancora Bardot, in una Saint-Tropez non ancora Saint-Tropez. Lo è stato in una pellicola di Claude Lelouch, “Un uomo, una donna”, lui l’uomo, Anouk Aimée la donna, in amore forse per sempre sulle note del famoso tema musicale “Shabadabada”.

Ma il “mio” Trintignant è legato a tre film meno citati, eppure notevoli. In uno, “Finalmente domenica!” ultimo film del geniale François Truffaut, rimane impresso il suo ruolo da protagonista, persino in ombra (ma voluta, e in ciò era bravissimo) rispetto ad una intraprendente Fanny Ardant. Nel secondo torna curiosamente la “domenica”, ed è “La donna della domenica”, trasposizione filmica di Luigi Comencini del romanzo di Fruttero & Lucentini, in cui Trintignant è l’amico della protagonista, Jacqueline Bisset, con cui indaga per risolvere il giallo. Da annali la scena finale in una Torino ferragostana deserta in cui loro due discutono in taxi sulla pronuncia dello stesso: “Si dirà tàxi con l’accento sulla A o tassì con l’accento sulla I?”. Infine in un film considerato a ragione tra i più belli della storia del cinema, “Film rosso” dalla trilogia “Tre colori” di Krzysztof Kieślowski in cui interpreta magistralmente i dubbi etici di un giudice in pensione, imparando a condividerli con chi il caso (o il destino?) pone sulle sue orme.

Un affettuoso grazie, da spettatrice, a Jean-Louis Trintignant.

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Salone del Libro, ovvero di un gioco antico e sapiente.

Questa volta la Fiera si manifesta, ma senza l’attesa molestia.

Volume su volume, mi immergo in un cartaceo fiume.

Storie a puzzle, incastro, cornice. Comunque sia, esploro felice.

Epica, Dramma, Risata, Poesia. La carta che vince è la fantasia.

Calembour a parte, la trentaduesima edizione del Salone del Libro di Torino ha presentato una pagina più parlata, quasi urlata, più che scritta. Contravvenendo in parte alle regole del gioco-libro, che richiede un passo di avvicinamento a tratti felpato. Per inoltrarsi nel terreno inesplorato con mente curiosa e cuore aperto. Così che novità ed emozioni possano primeggiare, violando posizioni preconcette. E scrollando ruggine dai soliti pensieri.

Ps: La mia personale “caccia al tesoro”, sempre ammantata di serendipity, mi ha condotto ad un metalibro condito di cibo, “Colazioni d’autore” di Petunia Ollister. Dove ogni libro fa colazione coi suoi dolci preferiti. Qualche esempio? “Il grande Gatsby” con eleganti muffin al limone, “Il giovane Holden” con casalinghe uova e bacon, “La donna della domenica” con raffinati baci di dama.

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Un inizio d’anno che ci lascia scevri del linguista Tullio De Mauro e del critico letterario Claudio Gorlier.

Linguista di alta caratura il primo, capace di cogliere l’uso delle parole nella storia del nostro Paese, studioso della letteratura di lingua inglese il secondo, capace di intuire la grandezza di scrittori quali Philip Roth e Gore Vidal.

Sempre attento Tullio De Mauro ai cambiamenti linguistici in Italia, solo un anno fa aveva dichiarato “Il 70% degli italiani non capisce quello che legge“, denunciando ancora una volta il rischio di analfabetismo funzionale.

L’anglista Claudio Gorlier aveva curiosamente ispirato a Fruttero, suo compagno di banco al liceo, il personaggio dell’americanista Bonetto nel romanzo “La donna della domenica”, colui che spiega al commissario Santamaria l’indizio chiave, ovvero la parola piemontese “pera“, in italiano “pietra“, e che diventa famoso sottolineando che “non si dice Boston, ma Baaastn“. Ma lo studioso Gorlier, il primo a vincere una cattedra di letteratura americana in Italia, era anzitutto un critico acuto ed intuitivo, che aveva frequentato i grandi scrittori del Novecento italiano, da Pavese a Fenoglio, da Calvino a Levi.

Per me il Professore Claudio Gorlier resta un incontro inaspettato e prezioso. Fu il mio controrelatore alla tesi di laurea su “Eugenio Montale e la letteratura anglosassone”. Persona di profonda cultura e raffinata ironia, mi fece cogliere il valore della traduzione quale “tradimento”. Un cammino di senso, tra le parole.

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Carlo Fruttero in un disegno di Giuseppe Festino

Lo scrittore torinese se n’è andato nella sua amata Maremma, dove sarà seppellito davanti all’amico Calvino, “così prenderemo il tè insieme anche nell’aldilà” era solito dire. Sta tutto in questa frase Fruttero, leggero, ironico, profondissimo. Si riunisce così, dopo dieci anni di “vedovanza” alla sua “metà” di penna, Franco Lucentini, con cui ha firmato romanzi polizieschi di grande successo, tra cui “La donna della domenica” che divenne famoso anche per la trasposizione cinematografica con un ottimo Mastroianni nei panni del commissario Santamaria e un’affascinante Jacqueline Bisset.

Autentico intellettuale, senza spocchie né lagnanze, bensì con quella matrice illuministica che con l’intelletto gioca per comprendere, consigliava la lettura di Pinocchio, il libro da lui più amato, almeno una volta all’anno, perché “è un capolavoro straordinario, attraversato da una voracità geniale“».

Della propria vita diceva: “Sono stato fortunato, ma al tempo stesso ho incassato colpi terribili. E per dirla come un pugile: non sono caduto al tappeto, ho continuato il mio incontro di boxe. E alla fine “io speriamo che me la cavo” è stato un buonissimo lume che mi ha accompagnato e mi ha fatto dire: intanto questa cosina ce l’ ho e per il resto si vedrà. Ho vissuto senza aspettarmi molto, anzi senza aspettarmi niente. E se ti convinci che non ci sono speranze e che il mondo è impazzito, da quel momento in poi puoi vivere benissimo. Scherzi, ridi, conversi, perché quel problema lì lo hai chiuso. Non ci puoi fare niente e allora ti resta tutto il bello della vita“.

A me di Carlo Fruttero, oltre i libri che ho amato, in particolare “Enigma in luogo di mare” e “Il palio delle contrade morte”, restano impresse le cose che scelse tra quelle fondamentali della vita, raccontandole nel 2010 in un appuntamento speciale di ‘Che tempo che fa’ di Fabio Fazio su Rai3:  «lo zapping notturno tra i libri nel letto»; il fritto di paranza, «quei pescetti meravigliosi» da prendere «con le mani, non con la forchetta!»; le camminate con il padre e con l’amico Franco Lucentini con il quale «ridevamo delle stesse cose».

Non posso che pensarlo ancora così: un libro sotto il braccio, un cartoccio di pescetti da gustare e risate da condividere camminando nuovamente…

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