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La musica di “Eurovision Song Contest 2022” risuona ovunque per le strade di Torino, la città italiana ospitante la manifestazione canora in questa settimana di metà maggio. Insieme ai messaggi di pace di cui si fanno portatori gli artisti. Con performance più o meno interessanti.

Dal toro-rodeo di Achille Lauro alle maschere gialle dei norvegesi Subwoofer, dal già tormentone romeno “Llàmame” dei Wrs al reiterato “In corpore sano” dei serbi Konstrakta, dall’enigma Australia (da quando è in Europa?) col virtuoso Sheldon Riley alla certezza ucraina della Kalush Orchestra sempre più favorita, ogni musicista sa che in quei tre minuti in scena i riflettori sono mondiali, e quindi virali.

A tal proposito Diodato, ospite dovuto dopo due anni dal suo Eurovision 2020 annullato per pandemia mondiale, è tornato a “far rumore”. Chiudendo finalmente un cerchio (speriamo per tutti, almeno in quel modo), riprendendosi il palco in modo magistrale, finalmente con l’abbraccio del pubblico. Le sue note struggenti, col loro “silenzio innaturale”, sono ormai parte dell’immaginario collettivo nazionale. Da “brividi”.

In attesa di quelli di Mahmood e Blanco…

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Si leggerà sui libri di storia:

‘Il 27 dicembre 2020 iniziò in tutta Europa la campagna vaccinale contro SarsCov2. Lo chiamarono V-day (rischiando la confusione con un altro giorno V, di altra e più antica memoria), ovvero “Vax-day”, “Giorno del vaccino”. Gli automezzi del gelo (il primo tipo di vaccino richiedeva per la conservazione una temperatura di -70°) consegnarono per tutto il Vecchio Continente le prime dosi, considerate l’inizio emblematico di uscita da quell’anno virale, e straordinario nel male, per tutto il pianeta. I primi vaccinati, operatori sanitari e ospiti delle Rsa, ripresi e fotografati dai mezzi di comunicazione per diffondere la Buona Novella. Già dalle prime ore di quel giorno storico sorsero però i primi dubbi, divenuti poi dibattiti e polemiche, sulla spartizione di quelle iniziali e simboliche dosi. L’Italia figurava fanalino di coda rispetto agli altri partners europei. Forse perché aveva scommesso maggiormente sul proprio vaccino, che però tardava per problemi riscontrati nell’ultima fase di sperimentazione. O forse perché in quel tempo il Bel Paese continuava ad essere considerato un po’ meno che alla pari degli altri Stati membri dell’Unione Europea. Per motivi che all’epoca venivano imputati a questioni minime di debiti e credibilità. Ma il tempo quasi tutto ristora, e infatti sappiamo ora… “.

Invece adesso, 27 dicembre 2020, ancora poco sappiamo. Persino non ci accorgiamo che stiamo scrivendo, nostro malgrado, la Storia.

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A vedere la cartina colorata dell’Italia in questi giorni sempre più strani, sembra di assistere ad un déjà vu di quelle campagne pubblicitarie Benetton anni ’90, in cui i colori si mescolavano provocatoriamente a situazioni sociali con esiti sfrontati e geniali.

Poi, abbandonati i ricordi, si ripiomba pesantemente nell’oggi. E quella gamma di colori caldi ed energici, giallo-arancione-rosso, diventano drammaticamente quelli che misurano la temperatura pandemica delle nostre città, delle nostre regioni, in fondo di ciascuno di noi.

E nonostante il quadro colorato male, ciascuno procede come se quelle tinte fossero poco più che un accidente poco incidente sulla propria routine, a meno di complete e tragiche chiusure. Come se ciascuno si ingegnasse, o illudesse, a rendere giallo pallido, quasi verde sogno, il proprio privatissimo orto, nonostante uno spazio esterno dai toni rosso carminio.

Ma la gamma Pantone, di questo passo, rischia di farsi seriamente esigua.

Ps: frattanto, a proposito di colori, restiamo in attesa di responsi intorno ai blu e ai rossi americani…

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2 agosto 1980, stazione di Bologna. Era una mattina di partenze, era tempo di vacanze. Era estate.

Ore 10,25. Fu l’impensabile che accadeva, fu la vita che si disfaceva. Fu inverno.

Rivedo me stessa ragazzina con il suo papà al baretto della spiaggia sentire alla radio la spaventosa notizia prendere atrocemente forma: 85 morti, oltre 200 feriti. Una nazione in lutto.

E ricordo che la vacanza, appena cominciata, perse i suoi colori soliti e stabili. Come se anche per me, seppur piccola, quell’orologio fermo all’ora della strage indicasse la fine dei giochi. Di un tempo buono, uguale a se stesso, fintamente eterno.

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Il mio desiderio numero 3 è relativo al viaggio. Sì lo so, le barriere interregionali sono cadute, l’autocertificazione è oggetto (speriamo) da archiviare, il motore si può scaldare.

Già. Ma i limiti geografici restano, perché non tutto è aperto, non tutti ci vogliono. Pensiamo solo ad alcuni Paesi europei che ci ghettizzano quali nuovi untori, o ad alcune realtà italiane che vorrebbero, insieme alla nostra valigia (e soldo) anche il risultato (transeunte) del test sierologico (sob).

E così il limite spaziale diventa mentale. Perché anche continuando il proprio privato e personale lockdown, vuoi per anemia di risorse o per surplus di lavoro o per sopravvenuta depressione interiore, l’idea di essere sempre liberi di prendere la porta di casa e abbandonarla per un po’ per qualsivoglia latitudine, quell’idea ci fa sentire in vacanza, cioè in sottrazione del quotidiano tempo. Con la testa nell’altrove, autentico inizio di ogni viaggio.

Leggeri, con le parole di Battisti nel cuore:

Sì, viaggiare
Evitando le buche più dure
Senza per questo cadere nelle tue paure
Gentilmente senza fumo con amore
Dolcemente viaggiare
Rallentando per poi accelerare
Con un ritmo fluente di vita nel cuore
Gentilmente senza strappi al motore
E tornare a viaggiare
E di notte con i fari illuminare
Chiaramente la strada per saper dove andare
Con coraggio gentilmente, gentilmente, genti…
Dolcemente viaggiare Sì, viaggiare“.

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Disegno di Franco Rivolli

Una dottoressa che tiene in braccio il nostro Paese, in modo amorevole come una mamma con il suo bambino. Tenendo avvolta l’Italia, riscaldandola, nella bandiera tricolore.

Questo disegno di Franco Rivolli, potente immagine dei giorni del Coronavirus, racconta degli eroi di questo tempo virale. Il personale sanitario, che si spende sul fronte del virus senza pause e ritrosie. Con dedizione, professionalità e coraggio. Che abbiano risposto in ottomila alla “chiamata alle armi” per la richiesta di trecento medici volontari al nord nelle aree più colpite, ci rende orgogliosi di loro e grati del loro agire.

Angeli eroi di questa strenua battaglia.

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È accaduto quanto da giorni si paventava ma, guardando gli incrementi di contagio, si sperava. L’Italia tutta è zona rossa.

Si sta a casa. Tutti. Si esce solo per andare al lavoro (se si può si usufruisce dello smart working) e per fare la spesa (senza fare inutili incette). Punto.

Si cerca, in corsa, di marginare l’esponenzialità del contagio, evitando aggregazioni e vicinanze. Per cercare di salvaguardare la salute di tutti. In primis dei più fragili.

Perché la situazione è seria. Anzi, emergenziale. Con l’aspetto sanitario al limite. Giorni difficili, pensieri cupi.

Con una notizia buona, il paziente 1 che respira ormai in modo autonomo.

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In questa vicenda complicata e virale del Covid19 c’è un aspetto discriminatorio inquietante, quasi orwelliano.

Ci dicono che il nuovo virus “è poco più di un’influenza”. Però i numeri non tornano. La mortalità per influenza in Italia è 0,1% mentre ad oggi per Covid19, sempre in Italia, siamo al 3%. Ma si aggiunge che “trattasi di persone anziane, quasi sempre oltre gli ottant’anni, con patologie pregresse”.

Qualcuno però mi spiega perché gli ottuagenari devono essere considerati poco più di un effetto collaterale?

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Non poteva che essere così.

Dopo il panico iniziale, e successivo alle ferree disposizioni di chiusura (aree rosse, scuole, musei, teatri, bar, impianti sportivi), sta subentrando un sottile fastidio generalizzato perché si sta prendendo atto che a cascata continua ci saranno conseguenze sull’economia del Paese Italia.

È vero. Ma è anche vero che contenere il virus è l’unico modo per evitare di scontrarsi con un numero certo e temibile. Quello relativo alla percentuale, ormai accertata scientificamente, di persone che possono aver necessità di terapia intensiva, 5 su 100. E, conti alla mano, non c’è disponibilità in tal senso per un numero che possa interessare una popolazione potenzialmente più ampia di quella attualmente interessata. Contenuta appunto nei due clusters di contagio.

Quindi le scelte agite appaiono, scientificamente e numericamente, l’unica via possibile. Le stesse applicate in Cina. Un gigante economico che si è comunque blindato pur sapendo, e già subendo, le conseguenze economiche negative. Ma intravvedendo in questi giorni, con un numero a decrescere di decessi, gli effetti positivi sulla salute pubblica.

Sono necessari, ovvio, investimenti economici emergenziali. Così come un protocollo unico europeo sarebbe stato auspicabile. Ma ciò rientra nelle opinioni.

E i numeri sono certezza, le opinioni no.

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In una manciata di ore lo scenario italiano sul Coronavirus è mutato in modo considerevole.

Dai nuovi contagi ai provvedimenti adottati la situazione appare inaspettata, quasi improvvisa, almeno alla maggior parte dei cittadini.

Zone rosse, scuole chiuse, consigli medici, pareri mediatici, approvvigionamenti d’assalto e ragionamenti dall’alto. E timori che stanno diventando paure.

Insieme alle abitudini che devono di necessità adattarsi: dagli spostamenti alla socialità, dal duomo al museo, dal carnevale alla partita. Col panico che rischia di essere protagonista insieme al virus. Purtroppo.

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