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Posts Tagged ‘Israele’

Abraham Yehoshua, scrittore israeliano di pace insieme ad Amos Oz e David Grossman, era solito dire “ho vissuto per scrivere“. E l’ha fatto fino al termine del suo viaggio terreno.

Ne “Il lettore allo specchio” ha spiegato in modo magistrale la differenza tra il “come” e il “cosa” nella scrittura, una lezione non solo per chi si inerpichi sulle vette dello scrivere, ma anche per lo spettatore/lettore di quei paesaggi. “Secondo me – affermava Yehoshua – la domanda principale è “come” qualcosa succederà, e non “che cosa” succederà. Riuscire a trattenere l’attenzione di chi legge sul come e non sul cosa è un problema che deve affrontare qualunque scrittore. E’ nei libri gialli che per lo più ci si chiede soprattutto che cosa succederà, ma dopo che si è finito il libro non ci si pensa più, mentre in altri tipi di romanzo si sa già che cosa avverrà e la domanda essenziale verte sul come. E’ lo stesso nella vita reale; nessuno si preoccupa di che cosa faremo a mezzogiorno, perché sappiamo già che andremo a pranzo. Quello che vogliamo sapere del nostro futuro è come sarà. L’equilibrio fra il che cosa e il come è l’arte dello scrittore.”

Grazie Yehoshua per avercelo spiegato così bene.

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Quello arabo-israeliano è un conflitto endemico a cui il mondo sembra prestare un’attenzione ancora minore rispetto ad altri luoghi di scontro. Come se la tensione tra i gruppi armati di Gaza e Israele, con lanci di razzi da una parte e bombardamenti dall’altra, fosse connaturata a quella difficile convivenza.

A farne le spese è la popolazione civile e soprattutto i bambini, come denunciano le organizzazioni umanitarie che chiedono l’avvio di una tregua per fermare le ostilità. Con l’apertura di corridoi umanitari per salvaguardare i diritti dei più piccoli. Mai tanto invisibili agli occhi del mondo.

Forse perché i bambini di Gaza si nascondono, barricandosi dietro semplici porte di legno e cuscini di fortuna. Fino a scomparire del tutto. Coi loro giochi, coi loro sogni, coi loro corpi.

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Nella memoria storica e collettiva la parola Libano evoca il cedro verde, tanto che proprio questa biblica pianta, ferma e immortale, campeggia sulla bandiera del Paese. Alla capitale Beirut si associano invece, da tempo immemore, immagini di esplosioni e bombardamenti, di tensione e conflitto.

Ieri l’esplosione più distruttiva di tutta la storia del Libano, cedro martoriato: “È stato scioccante – ha scritto Associated Press – anche per una città come Beirut che ha visto 15 anni di guerra civile, attentati suicidi, bombardamenti israeliani e omicidi politici“.

Ad esplodere sarebbe stato un deposito conservato (o dimenticato?) nell’hangar 12 del porto, dopo esser stato confiscato nel 2013 da una nave russa battente bandiera moldava, di ben 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio, composto chimico usato come fertilizzante ma anche per produrre esplosivi.

Perché una tale polveriera abbandonata in una zona tanto popolata? Incuria o dolo? E le accuse incrociate di sabotaggio tra Israele ed Hezbollah? È solo un caso poi che tra due giorni fosse prevista la sentenza sull’omicidio dell’ex premier libanese Rafiq Hariri, ucciso con altre 21 persone a Beirut il 14 febbraio del 2005?

Tante domande in attesa di risposte, come sempre. E intanto, come sempre, la conta delle vittime, la ricerca dei dispersi, lo strazio di chi resta. Tra dolore sordo, incredulità sospesa, aria irrespirabile.

Quale triste paradosso se si pensa al profumo balsamico che emana la corteccia del cedro del Libano.

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“Sono convinto che la letteratura, la buona letteratura sia un antidoto al fanatismo. La letteratura è cugina del gossip. Il gossip a sua volta è il risultato della nostra volontà di guardare dentro le finestre degli altri per sapere come vivono, cosa mangiano. La letteratura però fa un passo in più: non solo vuole vedere cosa c’è dentro la finestra altrui, ma indaga su che cosa si vede da quella finestra. La letteratura permette cioè di assumere lo sguardo altrui sul mondo. Un persona capace di vedere se stesso o l’universo con gli occhi degli altri non può essere un fanatico, perché una persona così sa che ci sono tanti modi di vedere e leggere la realtà. Un uomo o una donna che frequenta la letteratura sa che non esiste un solo linguaggio.”

Amos Oz, scrittore israeliano (Gerusalemme 4 maggio 1939 – Tel Aviv 28 dicembre 2018)

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Banksy, “Walled off Hotel” – Betlemme, 2017

Betlemme. Un laboratorio di ceramica che diventa hotel. Un hotel vista muro, quello che dal 2002 divide Israele dai territori palestinesi.

Una provocazione, l’ultima, di Banksy. Che interviene sui muri delle stanze. In modo immaginifico.

Così un soldato israeliano e un manifestante palestinese lottano sì, ma con i cuscini. E solo le piume cascano a terra.

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Con il Presidente israeliano Shimon Peres se ne va l’ultimo, dopo Rabin e Arafat, dei tre fautori degli accordi di Oslo per la pace in Medio Oriente.

E dire che Peres nasceva politicamente “falco”, pur mutando poi rotta trasformandosi in “colomba”. Fino a vincere il Nobel per la Pace.

La sua mission consisteva in quel disegno, di Pace, per cui sognava-progettava-costruiva. Un’autentica lotta, come spiegò nel suo libro di memorie “Battling for peace“. Una lotta con “armi” in cui credeva profondamente: cooperazione economica, compromesso territoriale, dialogo continuo.

E la visione di un “edificio” che poteva prendere forma. Con inaspettate, perché scartate, pietre d’angolo.

Come solo nel pensiero ostinato di un costruttore di pace.

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Raid aerei di Israele su Gaza

Raid aerei di Israele su Gaza

Non facciamoci trarre in inganno dal nome, “Operazione Scogliera Solida”.

Che pare rimandare a situazioni balneari, estive, marine.

Niente di più lontano. Se non il caldo. Asfissiante. Di fiamme e fumo.

Per ordigni che continuano a piovere da un cielo che sembra spodestato del suo autentico Sovrano.

Con un massacro inaudito di civili su una Striscia che in realtà è un Nastro Rosso di miserie umane.

E quel nome in codice, “Operazione Scogliera Solida”, che sembra esser stato appositamente scelto dalle Forze di Difesa Israeliane per rievocare le forze spietate e inesorabili della Natura.

Con l’uomo e il suo corredo di umanità a spegnersi sul fondo di una cortina di fumo nero e delittuoso.

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Roy Lichtenstein, “Whaam!” – 1963

Minimo dettaglio, impatto massimo.

Ma la guerra non è un fumetto.

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Il 5 settembre 1972 a Monaco di Baviera, durante le Olimpiadi, un commando di terroristi di “Settembre Nero” fa irruzione negli alloggi israeliani del villaggio olimpico, uccidendo subito due atleti e prendendo in ostaggio nove membri della squadra olimpica di Israele. Il tentativo di liberazione compiuto dalla polizia tedesca porta alla morte di tutti gli atleti sequestrati, di cinque fedayyin e di un poliziotto tedesco.

Allora le Olimpiadi non si fermarono. E quest’anno alle Olimpiadi di Londra, nel quarantennale, non è stato previsto alcun momento per commemorare quegli sfortunati atleti. A volte il ricordo, fondamentale per proseguire il cammino, sembra provocare imbarazzo. Silenzioso.

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