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Posts Tagged ‘Gianni Morandi’

E alla fine, come da pronostico, giusto e meritato, ha vinto il 73° “Festival di Sanremo”, e in tutte le giurie, Marco Mengoni, gladiatore buono, con “Due vite”. Voce potente e vibrata, interpretazione di emozione, occhi col sorriso nella malinconia, mentre ci ricorda “che giri fanno due vite“.

Degni di nota per le loro note, in ordine strettamente alfabetico: Colapesce Dimartino (geniali, col verso più contemporaneo della kermesse, “Ma io lavoro per non stare con te“), Coma_Cose (un testo poetico sull’addio che non è addio), Cugini di campagna (nella versione autoriale di “La Rappresentante di Lista”, e si sente), Lazza (il producer d’oro Dardust colpisce ancora…), Madame (con una “Via del campo” 2.0), Mr. Rain (quasi un supereroe in versi: “si nasce soli e si muore nel cuore di qualcun altro“), Rosa Chemical (il ritornello gitano entra da subito in testa), Tananai (un delicato omaggio all’amore separato dalla guerra, quella sul suolo ucraino).

Da ricordare: un Presidente della Repubblica al Festival che ascolta con occhi sorridenti le parole di Roberto Benigni sulla Costituzione (“avendo contribuito anche Suo papà Bernardo, Presidente, possiamo dire che la Costituzione è un po’ sua sorella!“), il trio Morandi – Ranieri – Al Bano (il Sanremo storico ma sempreverde da standing ovation), il monologo teatrale di Chiara Francini (le domande spiazzanti, autentiche ma dette sottovoce, sull’assenza di maternità), la performance dei Maneskin (insieme al mitico chitarrista Tom Morello) e quella dei Depeche Mode (insieme a ciò che sono stati), alcuni duetti (Mengoni col coro gospel “The Kingdom Choir” su “Let it be”, Giorgia con Elisa, Tananai con Antonacci), la tenerezza di Peppino di Capri e la sfrontatezza di Ornella Vanoni (e Gino Paoli), un “Viva radio 2 Sanremo” con le ore confuse (tra le ultime della notte e le prime del mattino) ma con Fiorello sempre ironicamente sul pezzo (il vero capo comico del Festival), gli ascolti record (che non facevano dubbiare sul quinto mandato ad Amadeus), i social ad entrare sul palco.

Da dimenticare: il monologo pseudoteatrale di Chiara Ferragni (troppo autofocus, ma è quanto chiedono i followers), Blanco e la rabbia agita contro le rose del palco (un po’ vero, un po’ finzione, tanta maleducazione), alcuni duetti (quelli autocentrati, quelli azzardati, quelli non-sense), il numero extra-large delle canzoni in gara (con gli ultimi che diventano i primi del giorno dopo), le polemiche governative intorno ai baci fluidi (c’è ben altro di cui occuparsi e preoccuparsi…), il comunicato Zelensky letto da Amadeus dopo le 2 di notte (relegato oltre la zona Cesarini), la pubblicità in esondazione (ma si sa, pecunia non olet), i social ad invadere il palco.

Giù il sipario.

Ps: nonostante gli ascolti record, certi comportamenti artistici (leggi foto strappate) fanno dubbiare alcuni politici sulla continuità della gestione Amadeus e degli stessi vertici Rai. Ma son ragazzi, ci si scherza (seppur Sgarbi abbia già prontamente proposto un nome quale nuovo direttore artistico del Festival di Sanremo, Morgan. Forse con Bugo al seguito).

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Quest’anno al 73° “Festival di Sanremo” è di scena il numero 2, a partire dai presentatori.

Spopola in particolare nei titoli delle canzoni, dall’essenziale “Due” di Elodie al moltiplicato “Duemilaminuti” di Mara Sattei. Passando poi per il doppio intrecciato in “Due vite” di Marco Mengoni e per il famoso logo di antica scrittura con “Lettera 22” dei “Cugini di campagna”.

Ma furoreggia anche nei versi, “Spaccando in due il silenzio” (Grignani) mentre “siamo due cause perse” (Sethu), forse perché “due milioni di parole non bastano” (Paola e Chiara) quando si è “due gocce di pioggia” (Mr. Rain) o “due iniziali in un cuore di sabbia” (LDA).

Insomma, tutto questo fiorire di “due” muove pensieri intorno all’unico numero primo pari. Il “due” è il numero della relazione di coppia, ma anche dell’indecisione e della divisione. In numerologia rappresenta il Verbo, la Sapienza, la Parola Divina. In matematica è il primo dei numeri detti “intoccabili”, ma è anche “pratico”, “odioso” e “oblungo”. Ma soprattutto non è “perfetto”.

E lo sappiamo bene. Perché tutto ciò che è “due”, cioè “incontro”, va mediato. Via complessa ma necessaria alla convivenza di idee diverse. Specialmente in questo reo Tempo.

Ps: non sempre le canzonette “sono solo canzonette“…

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Tutto è ricominciato da dove era finito. Ovvero Maneskin.

Cresciuti, magnetici, superlativi. Con orizzonti ormai internazionali, eppure con uno sguardo riconoscente al tempo/luogo da cui sono partiti. E con la capacità di emozionarsi ed emozionare il pubblico. L’intensa e delicata “Coraline” ne è stata la dimostrazione.

Il filo complesso di memoria con lo scorso anno, senza pubblico e in piena pandemia, si è mantenuto in apertura con Amadeus e Fiorello, sua fidata spalla. Ma è stato solo un frame.

Paillettes e leggerezza hanno subito avuto la meglio, anche perché quest’anno è nuovamente platea gremita (seppur mascherata e tamponata), e la voglia di ballare/ricominciare è tanta, con diverse canzoni che incitano a farlo, da Dargen D’Amico a Ditonellapiaga e Rettore, nonché ritornelli che entrano in testa e non escono più, da Morandi (“Apri tutte le porte/gioca tutte le carte/fai entrare il sole“) a La rappresentante di lista (“Con le mani, con le mani, con le mani, ciao ciao”).

E da una serata all’altra ci rendiamo conto che c’è molto di nuovo in questo Sanremo, a partire dagli incredibili ascolti, forse perché abbiamo davvero bisogno di “musica leggera, anzi leggerissima”, come ci era già stato prospettato lo scorso anno.

Drusilla Foer, elegante e ironica, è stata poi la carta che ha sparigliato, regalando spessore di contenuto in guanto di velluto. Il suo sensibile e intelligente monologo sull’unicità di ciascuno (peccato l’ora tardissima) ha sdoganato il concetto ormai vecchio di “diversità”. Così come sottolineare, l’omaggio di Saviano per il trentennale di Capaci, che ricordare è operazione del cuore, serve forse a smuovere qualche coscienza dall’apatia di un tempo galleggiante.

E poi gli artisti, un autentico melting pot canoro e anagrafico, sorretti da una superlativa orchestra, con alcune canzoni musicalmente nuove e interpretazioni da podio. Da Elisa, sempre magica, a Ranieri con la sua toccante “Lettera di là dal mare”. Ma una su tutte, quella di Mahmood e Blanco, è stata da “Brividi”. Per intensità, timbrica e messaggio.

Siamo ora in attesa di altri guizzi (come non ricordare la poesia in musica di Cremonini?) nella serata delle cover e in quella finale. I complimenti del Presidente Mattarella ad Amadeus sono il miglior viatico per la chiusa.

Ps: e che dire del “Fantasanremo”, in cui i cantanti cercano di fare punti, tra parole in codice, baci e fiori regalati? Un gioco nel gioco. Quello di cui necessitiamo, almeno per qualche ora.

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morandi

E bravo il Gianni nazionale.

Al traguardo dei quattordici lustri mette nel sacco la generazione dei rottamatori, ricordandoci il ritmo del “tà-tà-tà”, ovvero umiltà/volontà/senza età.

E molto più avanti di tanti giovani mai partiti, merito forse del suo passo da maratoneta, sceglie di non chiudere la porta ai social network e ad Internet, sparigliando in modo inaspettato le carte anagrafiche. Rendendole sempre più virtuali. E regalando ai suoi fan un antico/nuovo selfie, battezzandolo “Autoscatto 7.0“. In cui, più che il numero, è il nome a raccontare l’uomo e l’artista: “fatto da sé” e ” sempre pronto a ripartire”.

Una lezione semplice. Forse anche per questo magistralis.

Ps: nel frattempo se ne è andato all’improvviso il cantante Mango, voce strumentale unica nel panorama musicale italiano, capace di sperimentare contaminando generi, con una sonorità che rendeva autentici quadri le sue canzoni. Mi torna in mente “Mediterraneo“, il suo mare, il nostro, in quel frammento che dice “Bianco e azzurro sei / con le isole che stanno lì / le rocce e il mare / coi gabbiani / Mediterraneo da vedere / con le arance“. Ma solo la sua voce smaltava le sfumature degli odori e le zaffate dei colori.

Mango-06

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Reduci da una settimana in cui il Paese Italia ha avuto tra i suoi tags la parola “Sanremo”, indicando con essa non tanto l’amena località di mare quanto la manifestazione canora, viene da chiedersi: ma “Sanremo” è ancora “Sanremo”?

E’ vero che gli ascolti tengono, ma solo con l’effetto Celentano che sfalsa così tutte le possibili comparazioni. Allora cos’è che convince sempre meno, e non solo le ultime tecnologiche generazioni ma anche quelle precedenti che a “Sanremo” erano alquanto fidelizzate? Che sia la “crisi di mezza età”, visto che il “Festival di Sanremo” di “primavere” ne ha viste sessantadue? O forse il “fattore talent” che ormai sta fagocitando qualsiasi nuovo ingresso sulla scena musicale italica?

In effetti cosa ricordiamo di questa edizione se non la “predica” di Adriano con conseguente possibile “commissariamento” della manifestazione, il dubbio sull’intimo esistente o meno della Belen Rodriguez, gli interventi surreali con occhio sgranato del talentuoso Rocco Papaleo, le canzoni difficili da canticchiare sotto la doccia, un Morandi che si adegua ad un linguaggio con un intercalare più moderno (leggi più volgare), il passaggio di alcune leggende della musica mondiale, una per tutte la mitica Patty Smith.

Forse quello che appare sempre più stridente in questa debordante kermesse è da una parte il tentativo di far persistere una gara canora istituzionale con modalità fuori tempo da “messa cantata” con l’artista di turno che in posa “Prima Comunione” si esibisce con canzoni studiate ad hoc per “Sanremo”, quindi per definizione destinate ormai a vita effimera, e dall’altra il tentativo di rompere definitivamente la “quarta parete” che divide lo spettatore dal palcoscenico per creare un gigantesco happening colto nel suo divenire, anche se in piena ed evidente e voluta finzione.

Insomma una “contaminazione” in cui “Il blu dipinto di blu” rischia di diventare un logo di manifestazione.

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