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Posts Tagged ‘George Orwell’

Tra tutti i problemi urgenti da affrontare in questo momento, la Commissione Europea ha delineato le linee guida sul linguaggio.

In particolare hanno suscitato clamore le regole sul linguaggio delle festività, in merito alle quali l’esecutivo europeo invita in un documento interno ad “evitare di dare per scontato che tutti siano cristiani, quindi anziché buon Natale, è meglio dire buone feste. Sii sensibile al fatto che le persone hanno diverse tradizioni religiose e calendari. Anche «buone vacanze» potrebbe andare bene“.

Non passano 24 ore e, come ormai ci stiamo abituando, assistiamo al dietrofront, alla marcia indietro, al “non volevamo”. La Commissione europea ha infatti annunciato il ritiro delle linee guida sul linguaggio, perché da più parti ci sono state critiche all’uso sconsigliato di espressioni anche consuete, come appunto “Buon Natale”. In una dichiarazione, la Commissaria all’Uguaglianza Helena Dalli definisce il documento che contiene tali linee guida “inadeguato allo scopo prefisso” e “non maturo“, nonché sotto gli standard richiesti dalla Commissione. “La mia iniziativa – spiega la commissaria – di elaborare linee guida come documento interno per la comunicazione da parte del personale della Commissione nelle sue funzioni aveva lo scopo di raggiungere un obiettivo importante: illustrare la diversità della cultura europea e mostrare la natura inclusiva della Commissione europea verso tutti i ceti sociali e le credenze dei cittadini europei“.

Due brevi considerazioni.

La prima. In quanto cultrice di lingua e linguaggio penso che eliminare parole sia sempre un segno inquietante del mondo che ci attende. Perché il rischio è la semplificazione, nonché l’accorpamento di concetti diversi. E il geniale George Orwell ci aveva già messo sull’avviso in “1984” con la famigerata “neolingua”.

La seconda. In questo tempo pandemico la comunicazione è spesso contraddittoria. Come a voler tenere dentro tutto e tutti, senza fare scelte. Che comportano sempre fatica e tempo nel compierle e responsabilità nel mantenerle. Viceversa, meglio evitare. Soprattutto meglio evitare di comunicare in tutta fretta quanto non è stato accuratamente pensato. Perché tra una possibilità e la sua attuazione sta in mezzo il tempo di gestazione. Invece ultimamente la gestazione è sparita, per cui viene comunicata in tempo reale la “pensatina”, per poi fare retromarcia in un nanosecondo se il mondo comincia a borbottare. Gli esempi sono innumerevoli, ma sono sufficienti questo sul “linguaggio delle feste”, e quello scolastico per cui una classe sarebbe dovuta andare in Dad con tre studenti positivi l’altro ieri, solo con uno ieri, ma nuovamente con tre oggi.

Ma davvero navigare a vista, senza mappe e correggendo sempre la rotta, ci è così utile? O il rischio è girare in tondo, col temuto loop ad attenderci?

Comunque, “Buon Natale” o “Buone feste”. Fate voi.

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In questa vicenda complicata e virale del Covid19 c’è un aspetto discriminatorio inquietante, quasi orwelliano.

Ci dicono che il nuovo virus “è poco più di un’influenza”. Però i numeri non tornano. La mortalità per influenza in Italia è 0,1% mentre ad oggi per Covid19, sempre in Italia, siamo al 3%. Ma si aggiunge che “trattasi di persone anziane, quasi sempre oltre gli ottant’anni, con patologie pregresse”.

Qualcuno però mi spiega perché gli ottuagenari devono essere considerati poco più di un effetto collaterale?

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Risultati immagini per post-verità

E così “Post-verità” è la parola dell’anno 2016 per l’Oxford English Dictionary, che la definisce come «relativa a circostanze in cui i fatti oggettivi sono meno influenti, nel formare l’opinione pubblica, del ricorso alle emozioni e alle credenze personali». Come dire, “se lo raccontano, allora è vero”. Apparenza versus sostanza.

Così una notizia falsa, ma data per autentica, influenzerebbe una parte dell’opinione pubblica, quella che non cerca la verità rapportandosi col mondo reale, ma col proprio sentire emotivo. Come se diventasse reale ciò che ci piace dire e sentire, senza più spazio per il confronto tra le opinioni. E con i social-media la diffusione della falsa notizia aumenta in modo esponenziale, così che la post-verità, ossessivamente ripetuta, tende a diventare un monologo.

In una società caratterizzata da flussi ininterrotti di informazioni, anche contraddittori, paradossalmente diminuisce la possibilità di giungere ad una chiara visione dei fatti, servendosi solo di argomenti razionali. Cresce invece l’interesse per chi inventa e racconta storie, quindi la post-verità sembra essere diventata la chiave per la conquista e per l’esercizio del potere, economico e politico. Non è un caso infatti che il termine si sia diffuso nel 2016 durante le campagne per il referendum britannico sulla Brexit e per le elezioni presidenziali americane.

Torna utile l’indicazione data da George Orwell ne “La fattoria degli animali”: “Nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario.”

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