Il “frastornare” è “un deviare avvitato”. E “frastornati”, cioè “deviati in avvitamento” dal percorso logico e consueto, ci sentiamo a leggere gli ultimi e dolorosi fatti di cronaca di questi disgraziati tempi.
Madre che lascia la figlia, venti mesi, da sola a casa per andarsi a divertire (“volgersi altrove”, la “deviazione” appunto) col fidanzato. E intorno l’ “avvitamento”: nessuno che si ponesse domande sulla non presenza nel mondo di questa bambina, Diana, vera figlia della Luna.
Ragazzo che si schianta con l’auto ai 300 all’ora mentre un amico (?) lo filma (la “deviazione”) per un video sui social. Quasi un videogioco. E poi lo scarto ulteriore, l’ “avvitamento”: ai funerali festa con champagne e fuochi d’artificio, con lo sgommare di auto potenti quale ultimo omaggio sacrale.
Uomo che uccide, in pieno giorno e in pieno centro, un mendicante in preda ad una immotivata furia omicida. La “deviazione”. E intorno tutti filmano l’accadere, come in preda ad un “furor filmandi”, nuovi “Serafino Gubbio operatore” di pirandelliana memoria. L’ “avvitamento”.
Sorelle adolescenti che uscendo dalla discoteca all’alba, con i riflessi ovviamente stanchi, “deviano” per la stazione, luogo in cui l’attenzione è un sottotitolo non detto. E l’ “avvitamento” sta in quel trascinarsi stanco verso i binari con un treno pronto a travolgerle nella sua corsa, senza che chi le aveva notate le fermasse per una salvifica sosta.
Cosa manca? Difficile a dirsi. Forse la cura di chi è sulla “soglia” dell’evento. Forse la lentezza degli eventi stessi. Perché “frastorna” la velocità con cui tutto accade e precipita. Senza la possibilità di un ripensamento, di una riflessione. Facendo, purtroppo, tabula rasa. Di tutto, dell’uomo e della sua innata fragilità.