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stivale italia

Gli italiani di buona volontà indossano sempre più gli stivali.

Per spalare il fango tracimante da un terreno che ormai urla nient’altro se non vendetta dopo decenni in cui ha sentito estirpare dalla propria “pelle” quegli alberi le cui radici lo drenano e lo trattengono.

Dei fiumi, poi, che esondano non tanto per la nuova quantità d’acqua che scende dal cielo (pensavamo che l’effetto serra fosse semplicemente un curioso e nuovo modo di dire…) quanto per avere gli alvei occupati da tutto eccetto che da se stessi, si è già detto alquanto.

Che sia solo un caso che la forma del nostro Paese sia uno Stivale?

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alluvione

Un ciclico ritorno liquido quello della Natura, che dai cieli italiani piange acqua nei primi giorni di novembre. Sempre. E ogni volta appare come un evento speciale, inatteso, unico. Con i fiumi che esondano rompendo argini e trascinando vite umane. L’Arno nel 1966, il Tanaro nel 1994, il Bisagno e il Fereggiano troppe volte. solo per citarne alcuni.

La Natura, si sa, svolge il suo compito. Ma noi uomini che facciamo? Quelli al Potere guardano, mentre gli altri, quelli “piccoli”, quando non soccombono si tirano su le maniche, alla “grande”.

Ps: un pensiero affettuoso e civico a chi, tra il 5 e 6 novembre 1994 nella valle del Tanaro, purtroppo soccombette.

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Renè Magritte, "Il Ponte di Eraclito" (1935)

Ponti che crollano come costruzioni di cartapesta, cieli disperati che ci inondano del loro pianto, fiumi arrabbiati di fango a ricordarci gli sfratti abusivi che gli abbiamo fatto, strade che si fanno corsi rovinosi di acqua, auto, alberi.

E’ l’urlo muto della Natura che, da noi troppo a lungo inascoltata, ora ha detto “basta”.

Lontani riecheggiano i versi della poesia “Sono i fiumi” di Borges:

Noi siamo il vano fiume prefissato,
dritto al suo mare. L’ombra l’ha accerchiato.
Tutto ci disse addio, tutto svanisce.
La memoria non conia più monete.
E tuttavia qualcosa c’è che resta
E tuttavia qualcosa c’è che geme.

E riecheggiano come una nenia antica, una smisurata preghiera, una consolazione tenue…

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Ma perché il nostro Paese sembra il Punjab ad ogni evento di pioggia?

Forse perché da tempo non sappiamo più cosa sia la pulizia dell’alveo dei fiumi?

Forse perché continuiamo a costruire sugli argini dei corsi d’acqua, dimenticandoci che la Natura riprende sempre quanto le viene sottratto?

Forse perché l’ultimo degli interessi dei nostri governanti è pensare ad un serio piano idrogeologico?

E mentre i perché di ciascuno si sgranano come un rosario, ancora una volta contiamo le vittime. Quasi accettando passivamente di dover perdere di necessità una parte del nostro paesaggio umano.

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