Ho sentito le loro predilette parole, ponte e simpatia, raccontate con quella chiarezza espositiva che ti fa nuotare sotto vedendo alquanto.
Il loro dire si è dipanato all’interno di quel televisivo esperimento (nel senso che dura tre serate consecutive, sovvertendo il consueto/desueto palinsesto) di La7, “Quello che (non) ho“, dal titolo di una canzone di De André, con Fazio e Saviano a guidare gli interventi filologico-sentimentali.
De Luca e La Capria hanno in comune tra loro il ventre che li ha partoriti. Geograficamente Napoli, artisticamente la langue. O meglio, la “parola” è il loro fuoco sacro, amore incondizionato, passione consapevole, matrice prima.
Erri ha dato nuovo fiato alla parola ponte, l’unica opera di muratura, ha ricordato, che non divide ma unisce. Peccato che alcuni uomini distruggano ponti, come quello di Mostar di cui De Luca ha visto tristemente la fine, un ponte che ha sentito su di sé passeggiare secoli di storia e ha visto generazioni di tuffatori librarsi in volo. Ricostruirlo non ci ha ridato quel tempo di cui era testimone l’originale.
Raffaele ha reso giustizia laica e morale alla parola simpatia che è antecedente alla cristiana compassione, e che ti fa sentire il dolore dell’altro che, in questo, è del tutto uguale a ciascuno di noi. La Capria, per spiegarci più forte questo comune sentire, ha fatto sue le parole di Shakespeare nel “Mercante di Venezia”, quando Shylock quasi urla quella completa identificazione di un uomo con un altro, indipendentemente dalla religione. E in fondo, da tutto.
Così, col ponte di Erri e la simpatia di Raffaele, il mio interno vocabolario, sempre in continuo movimento, ieri sera prima di addormentarsi ha sorriso, quasi appagato. Perché ha inscritto in sé nuove sfumature a due parole conosciute.
Ecco perché amo tanto l’essenza delle parole.