Il mio desiderio numero due in questo momento ancora accidentato della fase due (e la cifra ripetuta rischia di diventare cabala) è leggero e superficiale, nel senso letterale. Ovvero in relazione al tatto.
Vorrei infatti, ad avvolgere il mio fisico contorno, una stoffa di nuvola in tagli inediti. Nulla di pretenzioso, anzi. Quei vestitini estivi provenzali che svolazzano ai refoli buoni del mistral tra campi di lavanda e mercatini di spezie.
La ricerca si presenta però ardua, almeno per ora. Perché, oltre ai sacrosanti dispositivi di sicurezza, avvicinarsi agli abiti non è più piacere puro, in cui il tocco non mediato è parte del divertissement. Misurare poi, tra prova camerino e sanificazione capi, comporta ansia da prestazione per il rischio sanitario. Quindi, col proprio occhio “clinico” su di sé, si accetta l’altro rischio, quello di misura e fattura conforme a noi.
Ma il gioco è /era tutto lì. Si giocava, quando si era un po’ giù, a provare abiti e accessori nuovi, ai nostri occhi belli, talvolta poi per non comprarli mai.
Eppure ci faceva bene, più il gioco, la messinscena, che l’acquisto vero e proprio. Perché ci ricordavano le cose poco necessarie, ma al senso della vita fondamentali. Che spero riescano, ancora e presto, a ricordarcelo.