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Posts Tagged ‘estate’

Buona pausa

La “pausa”, dal greco paûsis “rallento, mi fermo”, contempla in sé una sosta da quanto solitamente si fa. Seppur breve, è necessaria.

Quindi, buona pausa. Ovunque sia.

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Tempo di cabine… Già, ma quali?

Data la bollente stagione estiva non c’è dubbio si pensi a quelle balneari. In cui cambiarsi d’abito, mettendosi a nudo per tuffarsi in mare…

Ma data la strana stagione politica il pensiero va a quelle elettorali. In cui chiudersi a meditare, per poi agire senza farsi male…

Ps: e dire che ci sono anche le cabine armadio, telefoniche, elettriche…

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Jacques Henri Lartigue, “Florette” – Monte Carlo Beach 1958

Questo scatto, meraviglioso, del fotografo Jacques-Henry Lartigue, racconta che la vita è acqua.

A partire dal mare da cui arriviamo, per giungere all’acqua dolce a cui agogniamo. Al fine di ricomporre il nostro interno liquido puzzle.

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Josep Moncada, “Donne in acqua”

Il “buon naufragio” prevede per l’umano, dopo l’esperienza letargica dello spiaggiare, l’ingresso dinamico e grato nell’acqua salsa.

Esperienza ogni volta unica perché mitica e rigenerante. Di risalita alle origini del Tutto. Scendendo verso i pesci che siamo stati.

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“Il naufragio” di Moses Levy (Tunisi, 1885 – Viareggio, 1968)

Di solito si spiaggia, come una balena, arrivando dal mare. E per la creatura marina non è buona cosa, essendo l’onda che ha dietro sè il proprio elemento naturale.

C’è poi un altro spiaggiare. L’arrivo umano da terra verso l’ultima lingua di suolo antistante l’elemento acqueo salino. Lasciandosi alle proprie spalle, per una manciata di giorni, le onde quotidiane e straordinarie delle private e pubbliche tempeste di terra.

Si tratta del buon naufragio.

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Un mio allievo di quest’anno scolastico tanto particolare, un cucciolo di tre lustri alquanto curioso su quanto circuita intorno a lui, in un percorso su Battiato ha scelto “Summer on a solitary beach”, con tale motivazione: “Mi porta su una spiaggia, ma silenziosa, e sento che questo è ciò di cui ora abbiamo bisogno“. Chapeau.

Come a dire che necessitiamo, dopo una lunga e tormentosa cattività, di spazi in cui l’orizzonte sia posto su un lontano e aperto fondale, ma senza il sottofondo caciaro tipico di una spiaggia estiva. Quasi che risulti piuttosto complicato, almeno per ora, riappropriarsi in un sol colpo di spazio e di relazione.

Ecco perché dedico a tutti noi, naufraghi di lungo corso, questa chicca di Franco Battiato. Con l’augurio di ritornare dagli altri solo dopo essere tornati a noi stessi.

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Fazzoletto di Elena Braghieri per Massimo Alba

Il mare senza fine steso al vento.

Un incongruente abbigliamento,

solo all’apparenza senza senso.

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Nei giorni (che poi erano notti) più cupi e chiusi e stretti del lockdown, tra le immagini a cui riandavo per bere spazio e libertà e benessere c’era il mio acquario.

La boccia in cui sono solita immergermi nei giorni torridi del calendario, nel mare piccolo delle mie estati belle, quelle in cui il passo adolescenziale appena intravedeva sullo sfondo, sfocato, lo scollinamento adulto.

Aver ritrovato tutto in ordine, pesci e fondo e trasparenza, quell’acquario senza pareti, è stata gioia pura. Come l’abbraccio infine sciolto con l’amico di sempre. Senza alcuna restrizione né timore né remora. Solo gioia. Con le occhiate, grandi e piccole, a circondarmi a frotte. Equoreo benvenuto.

Ps: e poi la sorpresa. Ho seguito, nel mondo di sotto, un improvviso bagliore argenteo, ritrovandomi in un banco di grossi pesci, che pinneggiavano con forza seguendo una precisa direzione. Accogliendomi come parte del gruppo. Fintanto almeno che le branchie mie lo hanno permesso.

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Stamane, di prima mattina, già assetata di aria e di fresco, una coccinella ha invaso i miei spazi. Ritrovandosi su inedite, almeno per lei, piste da sci.

Si aggirava sul liscio manto bianco in discesa del mio lavandino. Alquanto spaesata. Pensando forse di essere salita troppo di quota. E io felice di vederla, quale segno buono del giorno entrante.

Demiurgo mio malgrado, l’ho accompagnata con gesti lenti fuori dalla montagna innevata di porcellana. Facendola scendere, attraverso un’improvvisata e umana funivia, a valle. Nella sua solita ed esterna quotidianità.

Ritrovandomi io con pensieri insoliti ed estranianti sul lanciatore cosmico di dadi.

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2 agosto 1980, stazione di Bologna. Era una mattina di partenze, era tempo di vacanze. Era estate.

Ore 10,25. Fu l’impensabile che accadeva, fu la vita che si disfaceva. Fu inverno.

Rivedo me stessa ragazzina con il suo papà al baretto della spiaggia sentire alla radio la spaventosa notizia prendere atrocemente forma: 85 morti, oltre 200 feriti. Una nazione in lutto.

E ricordo che la vacanza, appena cominciata, perse i suoi colori soliti e stabili. Come se anche per me, seppur piccola, quell’orologio fermo all’ora della strage indicasse la fine dei giochi. Di un tempo buono, uguale a se stesso, fintamente eterno.

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