Settecento anni fa, il 14 settembre 1321, si spegneva in esilio a Ravenna il Sommo Poeta, Dante Alighieri.
Ci ha lasciato in eredità lingua italiana, pensiero acuto, invenzione geniale. E molto altro, che ancora non comprendiamo nella sua interezza.
Ma anche non capire, come scrisse Giorgio Manganelli nel 1984 sul “Corriere della Sera”, è importante: “Dante è un enigmatico, e almeno una volta accettiamolo per quel che è. Ha i suoi motivi per non farsi capire subito, e qualche volta per essere assolutamente impenetrabile. È una corsa stremante tra luci e tenebre, stelle, lune, soli, misteriosi frammenti di edifici regali e sacri, con mutile, occulte scritte. Il percorso è talora nitido, geometrico; talora è paludoso, è uno strisciar tra cunicoli ed antri. Non capire è importante“.
Perché Dante ha intravisto oltre l’umano, sfiorando l’inconoscibile. Consegnando ai posteri frammenti preziosi di Azzurro. Ossia di Bellezza, che spesso ci rende muti perché quasi sempre non comprensibile.