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Unpredictable, imprevedibile.

Un esito davvero inaspettato l’elezione di Donald Trump a 45° Presidente americano.

Nessun analista, nessun sondaggista aveva preventivato la sconfitta di Hillary Clinton. Come se fosse stato perso di vista il Paese reale, quell’America profonda che va ben oltre la New York del nostro immaginario, coinvolgendo il Midwest, il “cuore americano” intercettato da Trump che ha parlato agli istinti di classe media e operaia. Che Wisconsin, Michigan e Pennysilvania, stati storicamente democratici, abbiano votato compatti per il tycoon sottolinea ancor più la sconfitta dell’ex segretario di Stato. O forse la vittoria di Trump. Perché per lui hanno votato anche quegli afroamericani e ispanici considerati in quota democratici.

Lo scacchiere internazionale dovrà ora prendere le misure del neo Presidente, che sembra però più interessato (o forse meno peggio preparato) al comparto interno: meno tasse e più lavoro, ovvero la formula più adottata dai movimenti populisti. Salvo poterla poi concretamente realizzare. E ancora, più sicurezza e meno immigrazione, che rischia di far superficialmente rima con armi libere e muri eretti.

Ma nel suo primo discorso da Presidente in pectore Donald Trump ha indossato, in modi e parole, la divisa istituzionale dirottando la sua rabbia da candidato in fair play presidenziale. Tributando l’onore delle armi alla sua rivale Clinton (“noi abbiamo un grande debito di gratitudine nei suoi confronti per il servizio che ha prestato al nostro paese“). E con alcune parole chiave: sogno americano, un solo popolo, unione, grande paese, nostra nazione, futuro, potenziale, crescita, punto d’incontro, evento storico.

L’elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti è effettivamente un evento storico. Unpredictable.

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