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Chi non si salva da sé, non lo salva nessuno.” – Da “La bella estate” di Cesare Pavese

Il 27 agosto 1950, due mesi dopo aver vinto il “Premio Strega” per “La bella estate”, lo scrittore Cesare Pavese si toglieva la vita, a 42 anni, in una camera dell’albergo “Roma” di Piazza Carlo Felice a Torino. Sul tavolino della camera venne trovato un suo libro, “Dialoghi con Leucò”, sulla cui prima pagina aveva scritto: “Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi”.

E se ne andava così uno scrittore di razza, prolifico e tormentato. Che ha segnato un’epoca anche come sensibile intellettuale (tra Einaudi e antifascismo), acuto critico (con lui nasce il “mito dell’America”) e notevole traduttore (è sufficiente ricordare il “suo” “Moby Dick”).

Proprio ne “La bella estate” si legge: “Qualche volta pensava che quell’estate non sarebbe finita più, e insieme che bisognava far presto a godersela perché, cambiando la stagione, qualcosa doveva succedere”.

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Nei giorni del Salone non si può non omaggiare quello “struzzo” che tutto digerisce, uno struzzo che da stemma cinquecentesco è divenuto, grazie alla scommessa editoriale di Giulio Einaudi, simbolo di una delle più alte imprese culturali del Novecento, a cui associamo nomi della caratura di Pavese, Vittorini, Ginzburg, Calvino e molti altri.

La Città di Torino e la Regione Piemonte ricordano il centenario della nascita di Giulio Einaudi anche con una mostra en plein air,  “Giulio Einaudi e il suo mondo”,  allestita sotto i portici di via Po, composta da 46 banner realizzati con fotografie d’epoca relative alla figura di Giulio Einaudi e ai protagonisti del suo tempo.

L’amore di Giulio Einaudi per il libro lo si può respirare dalle sue stesse parole: “Il libro, sia esso romanzo, saggio o poesia, deve coinvolgere al massimo l’intelligenza e la sensibilità del lettore. Quando in un libro una frase, una parola, ti riporta ad altre immagini, ad altri ricordi, provocando circuiti fantastici, allora, solo allora, risplende il valore di un testo. Al pari di un quadro, di una scultura o monumento, quel testo ti arricchisce non solo nell’immediato ma ti muta nell’essenza.

Quella sensazione di sentirsi spostati, dopo una lettura di valore, di qualche centimetro. Con l’essenza mutata.

Grazie Giulio.

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La Musica

LA MUSICA

“La Primavera” di Vivaldi e “Primavera”di Ludovico Einaudi (dal cd “Divenire – 2006)

Il primo brano è da risentire, perché la primavera vivaldiana è il vivo racconto in note dell’arrivo di questa stagione. In tutti e tre i suoi movimenti. Dall’allegro, col canto degli uccelli e lo scorrere dell’acqua (tuoni e fulmini sullo sfondo, un effetto quasi visivo), al largo col riposo del pastore, il latrato del suo cane e il fruscio delle foglie, all’allegro ancora con la danza finale di ninfe e pastori.

Il secondo brano, quello di Einaudi, ha i colori musicali di questa stagione: levità, intensità, malinconica dolcezza. Da sentire alla luce del tramonto.

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