Chiusa da poco una mostra fotografica, quella su “Tina Modotti – Retrospettiva ” allestita a Torino in Palazzo Madama, intorno alla figura di una delle fotografe più celebri al mondo, vissuta nella prima metà del Novecento. Una mostra fotografica particolare.
O meglio, una mostra che in me ha suscitato sensazioni diverse da quelle che mi aspetto da una ricezione di fotografie.
Solitamente sono gli occhi ad essere sollecitati, compiaciuti, sorpresi, goduti dalla visione di fotografie d’arte. Invece qui è stato il cuore a sorprendersi, per la vicenda biografica, breve e convulsa, di Tina Modotti, e per le azioni/reazioni di questa donna agli accadimenti del destino.
Per esempio quel suo posare nuda e malinconica su una terrazza assolata ripresa con mano non solo artistica ma soprattutto affettuosa dal suo amante-maestro il fotografo Edward Weston, poco tempo dopo aver perso tragicamente per vaiolo il giovane marito, il pittore Roubaix “Robo” de l’Abrie Richey.
O ancora quel suo ritrarre la bellezza luminosa di Julio Antonio Mella, uno dei fondatori del Partito Comunista Cubano, che la chiamava “Tinissima”, raccontando in quel superlativo tutto il suo amore per lei. E lei che, coraggiosissima, lo ritrae sul letto di morte, lo stesso viso bello di sempre, dopo aver subìto un attentato per strada, proprio mentre con lei passeggiava.
E che dire dell’insistenza poetica del suo sguardo sulle mani, di lavoratori in particolare, per testimoniare così anche il suo impegno politico col movimento comunista?
Faccio mio il termine che per lei ha usato lo scrittore Pino Cacucci, hermosura, che non è unicamente “bellezza”, ma fascino, sensualità, grazia, in riferimento non solo al fisico ma propriamente allo stato d’animo.
E che a distanza di quasi un secolo la hermosura di Tina Modotti continui ad arrivare al cuore mi fa pensare a certe schegge di immortalità che ci compongono. “Perchè non muore il fuoco“, come nell’ultimo saluto a lei scrisse Pablo Neruda.