
Nei giorni in cui spopola la parola “Scuola”, chi ci lavora cerca di capire il “piatto” che sta per essere cucinato.
Già, perché lo stesso slogan adottato dal governo odora alquanto di ristorante da gourmet. Chissà se poi all’assaggio si rivelerà tale.
La riflessione si scatena proprio da quell’aggettivo “buona”, che linguisticamente presenta tre possibili declinazioni. Il concetto di “buono” si può infatti associare al gusto, o all’etica o alla resa. Un elemento può infatti essere “buono” al palato, oppure “caritatevole” verso gli altri, o ancora “economico” nei risultati.
E dopo le prime indiscrezioni sul Ddl del governo intorno alla scuola, il timore, tra Presidi manager e bilanci aziendali e offerte strategiche, è che sia chiaro il significato dell’aggettivo “buona”. Una “buona” scuola sembra per ora dover assomigliare ad una “scuola-azienda” in cui alcune parole, da relazione a comprensione, da ascolto a curiosità, da dialogo a responsabilità, cioè parole da sempre fondamentali nell’educazione, rischiano di dover sbiadire sullo sfondo. Di un declinante orizzonte.
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