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Posts Tagged ‘Donald Trump’

Non penso sia un caso l’uso della parola “assalto” per quanto successo al Congresso di Washington, luogo simbolo della democrazia, non solo americana. Perché le forme e i modi ricordano l’assalto, appunto, al treno di fordiana (e registica, non presidenziale) memoria.

Anche se Capitol Hill non è propriamente il selvaggio West, e lo sfregio ai simboli democratici (dall’occupazione dello scranno del Presidente del Senato, nonché vice di Trump, Mike Pence a quella dell’ufficio della Presidente della Camera Nancy Pelosi) non può essere ridotto ovviamente a fatto di costume.

Innanzitutto perché ci sono state delle vittime, purtroppo. Poi perché le falle al sistema di sicurezza si sono rese evidenti, seppur poco convincenti. E infine per il ruolo giocato dal Presidente in carica Donald Trump per l’innesco dell’assalto.

Le domande rimangono perciò sospese nell’aria con il loro carico di inquietudine.

Perché tale “marcia” (a triste e italiana memoria) tanto annunciata non è stata affatto contenuta? Perché così pochi (e in certi casi conniventi) agenti a presidio di un edificio di cui si dice solitamente che “non entri neppure un capello”? Perché il Congresso stesso, al suo interno, non è stato posto in massima sicurezza in un giorno tanto simbolico e delicato, quale quello della certificazione parlamentare dell’elezione di Joe Biden a 46° Presidente degli Stati Uniti d’America? Perché l’intervento della Guardia Nazionale è avvenuto su richiesta del Vicepresidente Pence e non del Presidente Trump, come se di fatto in quel disgraziato, e purtroppo storico, pomeriggio americano, fosse già stato applicato il 25° emendamento?

Ora si spera in una transizione pacifica, con sorveglianza attiva, verso la data del 20 gennaio, giorno di insediamento alla Casa Bianca del Presidente eletto Biden, a cui spetterà il gravoso compito di riunificare la nazione intera attraverso i valori democratici. Valori di riferimento per il mondo intero.

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Joe Biden, 46° Presidente degli Stati Uniti d’America, tocca alcuni primati: è il Presidente con più primavere e quello che ha ricevuto più voti. È anche il primo ad avere al suo fianco come Vice presidente una donna, l’afroamericana Kamala Harris. Ed è il secondo Presidente di origini irlandesi, dopo John Fitzgerald Kennedy.

Già Vice presidente sotto Obama, conosce la politica da sempre. Fin dai tempi in cui, giovane senatore, faceva la spola tra Washington e Wilmington in cui vivevano i suoi due bambini sopravvissuti all’incidente automobilistico in cui Biden perse la moglie e la figlia più piccola. Sarà l’incontro con Jill Tracy Jacobs, insegnante di inglese, a regalargli una ritrovata serenità, un’altra figlia e un appoggio incondizionato alla sua carriera politica. Rivendicando sempre con passione e orgoglio, anche ai tempi della vicepresidenza, la sua indipendenza lavorativa.

Fin dal suo primo discorso, al Chase Center di Wilmington, la sua città in Delaware, Joe Biden ha posto l’accento su due verbi, “unire” e “guarire”. “Torniamo a essere gli Stati Uniti d’America. Mi impegno a essere un presidente che porta unità e non divisione. Non ci sono stati blu o stati rossi. Non ci sono nemici ma avversari. Io sarò il presidente di tutti“. E ancora, ″La Bibbia ci dice che c’è un tempo per ogni cosa. C’è un tempo per costruire, un tempo per raccogliere, un tempo per seminare e un tempo per guarire. Questo è il momento di guarire gli Stati Uniti“.

Anche Kamala Harris sottolinea il verbo “guarire”: “Ora inizia il nostro lavoro, duro, necessario, per sconfiggere la pandemia, risollevare la nostra economia, sradicare il razzismo, riportare un sistema di uguaglianza, guarire l’anima della nostra nazione“.

Prima mission proprio la lotta al Covid. Già nominata una task force per un piano di azione contro la pandemia. “Mettete la mascherina, non ha colore” esorta il neo presidente.

Nel frattempo, mentre giungevano gli auguri dei capi di Stato di mezzo mondo a Joe Biden, assordante il silenzio di Donald Trump asserragliato nella Stanza Ovale della Casa Bianca, pronto ad una guerra legale su un riconteggio dei voti. In realtà preoccupato della perdita dell’immunità a fronte di possibili processi a suo carico. Ma alcuni familiari sembrano consigliarlo da giorni su un’uscita elegante, salvando così l’istituzione della Presidenza americana. E in fondo anche se stesso.

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In questi giorni difficili, crudeli e tristi hanno detto, in ordine sparso per gravità:

-Christine Lagarde, Presidente della Banca Centrale Europea, per affrontare la crisi economica scatenata dal Coronavirus: “Noi non siamo qui per accorciare gli spread. Non è questa la funzione né la missione della BCE. Ci sono altri strumenti e altri attori deputati a queste materie“. A seguire, tonfo delle Borse europee, in particolare quella di Milano.

-Boris Johnson, Primo Ministro del Regno Unito, a proposito di Covid19: “molte famiglie perderanno prematuramente dei loro cari”. A seguire, aggiunge che il virus è preferibile che si diffonda per aumentare le difese immunitarie dei cittadini.

-Emmanuel Macron, Presidente della Repubblica francese, nel suo discorso alla nazione per l’emergenza Coronavirus: “Dovremo continuare a guadagnare tempo e proteggere i più vulnerabili per questo motivo da stasera chiedo a tutte le persone con più di 70 anni di restare a casa il più possibile limitando il più possibile i contatti“. A seguire, conferma le elezioni municipali di domenica.

-Donald Trump, Presidente degli Stati Uniti d’America, considerando Covid19 un’influenza: “nulla viene chiuso, la vita e l’economia vanno avanti“. A seguire,  proclama lo stato di emergenza nazionale.

Quando si dice diplomazia e coerenza.

E fare silenzio?

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Tweet del presidente americano Donald Trump, poche ore prima del raid compiuto in Siria: “La Russia giura di abbattere tutti i missili sparati sulla Siria. Preparati Russia perché arriveranno, belli e nuovi e ‘intelligenti!’ “.

Sapere che questi sono i pensieri che circuitano i neuroni dell’uomo più potente del pianeta mette i brividi. Sfrondando quasi completamente i piccoli arbusti viventi che siamo.

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Filippo Chiappara “Confusione emozionale”

L’anno 2017 si è aperto con la parola “post-verità”, indizio del tempo che si va srotolando: conta più quanto si racconta di quanto stia accadendo.

Le fake news sono infatti diventate il nostro pane quotidiano. Insieme, è ovvio, alle notizie vere, che odorano di guerra e povertà e scarse primavere. E in mezzo a tanti politici millantatori c’è chi purtroppo mantiene le promesse: Trump si comporta da Trump e Kim Jong-un si diletta col nucleare. Facendo tremare tutti noi, forse più consapevoli di loro riguardo la nostra comune mortalità.

Siamo sempre più confusi, ma non felici come recitava la canzone. Navighiamo a vista in assenza di punti fermi, anche perché quelli cardinali non sempre sono tali. E quelli su cui contavamo, anche solo per guardare il mondo con icastica ironia, se ne vanno. Senza Villaggio, difficile pensare a come sarà il globale.

E in ogni anfratto folate di venti indipendentisti, populisti, xenofobi. Coi terroristi a fare strage del tempo buono di noi umani.

Persino il pianeta, confuso, ci confonde. Quando fa caldo è febbre e incendio, quando piove è nubifragio e tornado. Spesso sussulta e fa danno dove non c’è cura né attenzione. Ne sa qualcosa il nostro Paese, col suo tributo di caduti e di sfollati. Tacitando per pudore i sommersi e i salvati della tragedia annunciata e bianca di Rigopiano.

Ma le chimere ammaliatrici tengono a bada i nostri pensieri tristi ricordandoci che è prossima l’uscita dal tunnel della crisi. Ma allora perché siamo tanto confusi e niente affatto felici?

Non resta forse che affidarci ad un “Occidentali’s Karma”, perché “comunque vada, Panta Rei”. Ricetta semplice per noi plebei.

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Ho da poco seguito un corso di aggiornamento dell’Ordine giornalisti riguardante le “fake news”.

E ho imparato che le stesse sono aumentate da quando Donald Trump è diventato Presidente (una vera notizia!), che ci sono sempre state seppur con altri nomi (leggi “bufale”), che la Rete è il luogo privilegiato della loro gestazione (sempre più breve), che il controllo delle fonti continua ad essere il primo antidoto (davvero?).

Ma soprattutto ho riflettuto su come tutto, sempre, può avere un altro significato cambiando punto di vista. “I viaggi di Gulliver” restano in tal senso un buon vademecum.

Mi è così tornato in mente un video-chicca alquanto ironico del cantautore Brunori Sas, “Mambo reazionario”. Ogni notizia può essere trasformata in un’altra, giocando con allegria. Senza i danni collaterali delle fake news.

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Non sono una sostenitrice di Angela Merkel.

Eppure, di fronte al suo tentativo educato e diplomatico di stringersi la mano con Donald Trump (“Presidente, ci stringiamo la mano?“) a cui in risposta c’è stato solo un imbarazzante muro di silenzio e sguardo volto altrove, io sto con Angela Merkel.

E il tycoon, ancora una volta, si dimostra innanzitutto maleducato e spocchioso. Sicuramente lontano da quanto dovrebbe caratterizzare un buon politico: la capacità di bypassare, almeno pubblicamente, le antipatie personali e di posizione.

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Quando Donald Trump é stato eletto a Presidente degli Stati Uniti d’America mi sono chiesta: “Chissà se il mondo lo regge per quattro anni.” Nel frattempo sono io a non reggerlo già più, nonostante il suo mandato abbia all’attivo una striminzita manciata di settimane.

“Sta facendo quanto promesso in campagna elettorale”, ti fanno notare compiaciuti i suoi sostenitori. Già.

Però… Però bisogna prendere atto di un salto di forma: ora quella istituzionale é equivalente a quella da tono elettorale. Nuovo oggetto di studio per chi si occupa di comunicazione. Che sta diventando non solo violenta e urlata ma anche estremamente povera di termini.

Tanto che il lessico usato da Trump é comprensibile anche a chi mastica poco inglese, segno forte e inequivocabile della decadenza dei tempi.

Perché Trump non usa un linguaggio semplice e chiaro, ma elementare e primitivo. Un linguaggio cioè che non contempla i termini mediani, quelli di cui deve essere ricco il desco delle trattative. Non solo in politica, ma nelle cose umane in genere.

Infatti sono le sfumature a raggiungere l’altro. Solitamente i colori primari tendono ad essere autoreferenziali.

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É la prima volta che accade in ottantanove edizioni. L’Oscar più atteso, quello per il miglior film, l’ultimo assegnato nella lunga notte delle stelle, é stato annunciato per “La La Land” e subito rettificato (“It’s not a joke”) per “Moonlight” di Barry Jenkins, che aveva già vinto in altre due categorie.

Così sono sei le statuette per il musical dedicato “ai folli e ai sognatori”, tra cui anche la regia con Damien Chazelle, 32 anni, il regista più giovane di sempre a ricevere il premio.

Un’edizione degli Oscar che premia da un lato il black power e dall’altro la forza del sogno. Di tutti, ma soprattutto americano. Infatti se “Lalaland” é parola inglese per “stato mentale euforico e sognante”, é anche vero che L.A. rimanda alla Los Angeles del film e del cinema in assoluto.

Anche se il premio forse più sintomatico del tempo che viviamo é quello a “Il cliente” come miglior film straniero, del regista iraniano Asghar Farhadi. Assente giustificato. Ha scelto di non usufruire del permesso speciale per entrare negli Stati Uniti, protestando così contro il Muslim Ban di Mr.President Trump.

Segno dei tempi. Poco luminosi, nonostante le stelle della settima arte.

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Il 45° Presidente degli Stati Uniti d’America, Donald John Trump, si è insediato alla Casa Bianca.

O “insidiato”, dicono i suoi detrattori. Ma se la sua presidenza sia un’insidia o meno saranno i fatti a dirlo.

Per ora un discorso dai toni forti, in cui si staglia in modo netto il nuovo orizzonte del Paese a stelle e strisce: “Compri americano, Assumi americano”, ovvero protezionismo innanzitutto.

Con poco spazio per l’idea romantica, e ancora resistente, di un luogo oltreoceano aperto a tutti. Persone e sogni.

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