Un Festival di Sanremo come da copione, in linea coi tempi. Canzoni alquanto scure, alcune davvero notevoli per i testi, spaccati di vite difficili, intrisi di rabbia anche densa.
Un nucleo di malessere che in certi componimenti si mostra rancoroso (leggi Daniele Silvestri, tre premi della critica) e in altri tenta la via del perdono (leggi Simone Cristicchi, due premi della critica).
Oppure spariglia, come è successo col vincitore Mahmood (l’avevo detto…) che, con voce particolare e melodia mediterranea, racconta una storia personale e non scontata attraverso un ritmo trappato da tormentone mai banale.
Da ricordare di questo Festival: una ruggente e struggente Loredana Bertè da tripla standing ovation (finalmente si è compreso chi, tra lei e Boomdabash, la scorsa estate ha dato luce a chi), un talento (Virginia Raffaele) che seppur imbrigliato riesce a sguinzagliarsi regalandoci la sua bravura e leggerezza, lo strepitoso avvertimento di Ornella Vanoni alla Rai («Sono venuta aggratis, che non diventi un’abitudine!»), l’emozionante e intenso omaggio di Serena Rossi a Mia Martini con “Almeno tu nell’universo”, due duetti che cambiano le sorti delle canzoni originali grazie ai valori aggiunti (Nada per Motta e Morgan per Achille Lauro), le lacrime di Enrico Nigiotti mentre canta la lettera a “Nonno Hollywood” perché sono quelle di chiunque quando tenta un dialogo con gli affetti in assenza.
Da dimenticare di questo Festival: l’infelice e balzana teoria notturna di Francesco Renga sulla maggior piacevolezza della voce maschile rispetto a quella femminile (sob!), un Claudio Bisio mai entrato in partita nonostante affanno e corse per il palco, l’audio capriccioso di un’oliata macchina da guerra, Arisa in nero e febbricitante che canta in acuto ossimoro “Mi sento bene”, il maleducato e inguardabile cappellaccio nero di Joe Bastianich membro della giuria d’onore (doppio sob!).
Tra il ricordo e la dimenticanza Claudio Baglioni: capace, elegante, intuitivo, ma. “Strada facendo” è utile, ormai quasi per tutti, un navigator…
Ps: notevole che il Ministro degli Interni dia il suo giudizio di (dis)valore su Mahmood. Lo sa che il ragazzo è “tutto” italiano? E, soprattutto, è davvero convinto di poter indossare la divisa anche da maitre à penser?