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Posts Tagged ‘canzone italiana’

Nati nel marzo 1943, a poche ore l’uno dall’altro. Lucio Dalla il 4 marzo, Lucio Battisti il 5 marzo.

Due “pietre d’angolo” della musica italiana, Battisti schivo, Dalla estroso. Uno reatino col canto libero dentro, l’altro bolognese col mare nel cuore. Entrambi con la capacità, rara nella cosiddetta “canzone leggera”, di muovere poesia attraverso le note.

“Luce” in musica, come il loro nome segnò fin dall’inizio. Consegnandoci “Emozioni”, “là dove il mare luccica“…

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Se il Festival di Sanremo è predittivo del tempo che vivremo, sarà rivoluzione. Forse addirittura una rigenerante rifondazione.

Come cantano col loro potente rock i Maneskin, vincitori inaspettati: “Scusami ma ci credo tanto /Che posso fare questo salto / Anche se la strada è in salita /Per questo ora mi sto allenando / E buonasera signore e signori“.

Aria nuova sul palco, a partire da una gestione meno ingessata e più improvvisata (seppur alquanto pensata, chapeau) in un’edizione pandemica difficile (speriamo unica), ai futuribili quadri viventi, ricchi di citazioni più che di provocazioni, di Achille Lauro.

E poi artisti poco conosciuti dal grande pubblico (esiste ancora?), ma ricchi di inedite sfumature vocali, capacità scritturali di valore e potenti presenze sceniche. Madame, 19 anni e un potenziale in divenire, Willie Peyote, Premio critica Mia Martini per un testo rap che è reportage di questi tempi (“Non si vendono più i dischi tanto c’è Spotify / Riapriamo gli stadi ma non teatri né live“), La rappresentante di Lista, voce – magnetismo – impegno.

Qualche serata di musica all’apparenza leggera, anzi leggerissima, come hanno cantato in modo geniale Colapesce e Di Martino, Premio Lucio Dalla della Sala Stampa: “Parole senza mistero / Allegre ma non troppo / Metti un po’ di musica leggera / Nel silenzio assordante / Per non cadere dentro al buco nero / Che sta ad un passo da noi, da noi / Più o meno”. 

Questo forse il senso di questo 71° Festival di Sanremo. Un nuovo inizio augurato da ciascuno a tutti noi.

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Il Festival di Sanremo 2021, quello in tempo Covid è iniziato. Nonostante tutto. Anche se non a prescindere da tutto. Che poi è sempre il Covid. Agente unico sulle nostre vite, respiro – riso – fiordaliso.

Si può comunque tentare, anche per esorcizzare. Ma nonostante buoni addendi (presentatori, musica, gag, orchestra), il risultato cambia. L’energia è spenta, la leggerezza solo tentata, le bollicine un ricordo.

Applausi finti, poltrone vuote, sguardi che non incrociano sguardi. La “di-grazia” pandemica a sottolinearci la mancanza di “grazia”. Quella che rende essenziali e graditi anche i gesti minimi.

Purtroppo questo Festival di Sanremo ci ricorda, senza orpelli di sorta, quanto non siamo più. E quanto ancora di nuovo non siamo. “Un sorriso dentro al pianto” o poco altro, come canta Ornella Vanoni su testo di Francesco Gabbani. Ospiti sul palco Ariston in una di queste sere, così poco (ahimè) festivaliere.

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È ricominciato. Il Festival di Sanremo.

Ha raggiunto l’età considerevole dei settanta, ma continua a far parlare di sé. Come una diva d’altri tempi ma sempre seduttiva. Con la capacità camaleontica di mutare pelle ascoltando i tempi. Attraverso accordi, testi e tendenze.

Permettendo a ciascuno di “Volare, nel blu dipinto di blu”.

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Festival 1967. Eliminazione. Camera d’albergo. Un colpo di pistola. E a ventinove anni chiudeva la sua parabola terrena Luigi Tenco, cantautore di talento della scuola genovese, quella di Fabrizio De Andrè, Bruno Lauzi, Gino Paoli, Umberto Bindi.

Canterò finché avrò qualcosa da dire, sapendo che c’è chi mi sta a sentire e applaude non soltanto perché gli piace la mia voce ma perché è d’accordo con il contenuto delle mie canzoni. E quando nessuno vorrà più stare ad ascoltarmi, bene, canterò soltanto in bagno facendomi la barba. Ma potrò continuare a guardarmi nello specchio senza avvertire disprezzo per quello che vedo“.

In lui passione, dignità, fierezza. E sensibilità. Non solo musicale.

Ps: il 7 febbraio 1987 si spegneva, proprio durante il Festival, la potente voce di Claudio Villa, detto “il reuccio”.

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Il 65° Festival di Sanremo ha spiccato “Il Volo” per ascolti, da record, e per i vincitori, annunciatissimi e bravissimi.

La parola “amore” sembra aver vinto su tutto. Autore Orazio, o forse Conti. Sapendo che la settimana festivaliera cadeva in quel di San Valentino, ha preparato tutto col “cuore”. E intorno alla rima baciata, appunto, con l’amore.

Non solo i testi viaggiavano quasi tutti sui binari sentimentali, ma anche le storie raccontate sul palco dagli invitati famosi e non declinavano invariabilmente intorno al cuore.

E così il titolo del vincitore non poteva che essere “Grande amore”. I tre ex tenorini hanno riportato in patria quel talento già evidenziato sui palchi di mezzo mondo, esportando il bel canto italiano che tanto ci invidiano all’estero. Anche se in Italia il loro canto può risultare a tratti un po’ antico, raccontando peraltro, come da sempre fa il Festival, il momento storico del Bel Paese. Che spera di prendere finalmente “il Volo”, ricominciando dalle solidità e dalle certezze del passato.

Già, forse un passaggio più di restaurazione che di rivoluzione, nonostante “rottamare” sia il verbo del “Nuovo Corso”. Verbo che, curiosamente, fa rima col verbo “amare”. Pur svolgendo però un ben diverso mestiere.

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