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Posts Tagged ‘bianco’

Tele di Alberto Burri

Ci avviamo a diventare, tra contraddizioni e fatiche e drammi, un Paese quasi tutto “bianco”. E in tempo pandemico “il colore non colore” è sinonimo di ritorno ad una modalità quasi senza restrizioni. Eppure…

Eppure questo “bianco” ha poco da spartire col colpo di spugna che rende la tela nuovamente intonsa, pronta per essere ridipinta. Questo “bianco” rimanda semmai alle tele di Alberto Burri, in cui la “purezza” si frammenta e le ombre delle fenditure disegnano in maniera netta l’immagine di un terreno inaridito. Che è quanto siamo e ci sentiamo ora. Senza “acqua/vita” da parecchio tempo. Incapaci persino, nel nostro interiore tessuto, di “dissetarci”, perché ci siamo rinchiusi in un approvvigionamento di sopravvivenza, quindi sterile.

Abbiamo necessità di una “rieducazione”, propriamente un “ex-ducere“, un “condurre fuori” noi stessi verso quanto giunge dal nostro esterno. Il che non è poi così istintivo, né semplice.

Un “bianco” quindi che ci incanta e ci abbaglia. Forse perché, come recita il “Moby Dick” di Melville, “Non abbiamo tuttavia ancora risolto l’incantesimo di questo biancore, né appreso perché esso rivolga un richiamo di così grande potenza all’anima.”

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Quando si ha voglia di neve senza coinvolgere cielo e terra ma solo pensiero, nulla di meglio di una “boule de neige”.

E il mondo piccolo della palla di vetro, con una semplice scossa, si fa immenso e bianco e incantato.

Regalandoci, senza addormentarci, la sensazione del sogno. E del possibile.

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Dopo sei giorni di neve su una Torino novella Pietroburgo, il mio sguardo sta imparando a percepire la gamma labile di sfumature del colore bianco e il mio passo si sta trasformando in quello da astronauta attento al punto successivo su cui appoggiare il piede.

E così il mio pensiero si è preso una vacanza. Cioè ha cominciato ad assentarsi dal suo lavoro quotidiano e a tratti automatico, perché impegnato a soffermarsi su inedite forme, su tempi dilatati, su espansi silenzi. Entrando in una dimensione antica, quasi atavica, che tocca interne corde mistiche, quelle che ciascuno di noi custodisce con cura, ma che questo affannato tempo storico spesso non ci permette di ascoltare. Ponendoci infine in contatto con il nucleo più profondo di noi.

In modo lento e inesorabile. Come il ritmo con cui cade la neve.

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