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Posts Tagged ‘banchi’

Felice Casorati, “Gli scolari” – 1927/1928

La scuola oggi ricomincia. Tutto pronto? Tutto a posto? Mah…

Dipende dalle regioni, dipende dalle singole scuole, dipende dalle regole applicate.

C’è infatti chi comincia oggi, chi ha già cominciato, chi posticipa le lezioni a dopo le elezioni, e chi pone in dubbio l’inizio anche dopo il suffragio.

Ci sono poi scuole con tutti gli studenti in presenza (e il distanziamento si fa minimo, replicando come sempre la classe pollaio), altre con i doppi turni (ma i docenti non sono raddoppiati), altre ancora con didattica mista (invece che “didattica a distanza” si chiama “didattica digitale integrata”).

Ancora, a proposito di uniformità nazionale, c’è il dilemma temperatura (a casa e registrata su diario o a scuola con termoscanner), il ruolo della mascherina (sempre e ovunque, oppure solo fuori banco e in movimento), il rebus ingressi (tutti insieme da accessi diversi o scaglionati da un unico portone).

Per tacere dei docenti, in numero minore rispetto all’effettivo bisogno, preoccupati perché in fondo alle preoccupazioni del ministero, sfiduciati per la scarsa considerazione del Paese. Nonostante abbiano continuato ad istruire, educare, sostenere gli studenti anche in lockdown, anche a distanza, anche in vacanza.

Tanto che, nonostante tutto, saranno ai nastri di partenza come sempre, col sorriso che quasi per magia ricompare nei loro occhi in prossimità degli allievi. Anche quando provano a piegarli. È il caso dei docenti fragili che per il ministero non hanno altra opzione che essere dichiarati temporaneamente “inidonei” alla mansione (neanche fossero sovversivi o psicopatici) ed essere ricollocati in archivio o in segreteria, oppure continuare ad essere definiti “idonei” quali sono e andare comunque in classe, con una mascherina più filtrante (e meno aerante per parlare), ma rischiando un po’ di più di tutti gli altri.

La scuola oggi ricomincia. Tutto pronto? Tutto a posto? Mah…

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Scuola, su cosa sorvolare?

Forse sui nuovi banchi con le rotelle. Anche se… Davvero gli adolescenti con quelle ruote staranno immobili? E si è già pensato a come smaltire una catasta imponente di vecchi banchi, che nel frattempo occupano spazio, di questi tempi tanto agognato?

Potremmo forse glissare su chi controlla che cosa. La temperatura corporea sembra destinata a diventare affare di famiglia. E la mascherina col naso allegramente esposto, vezzo ormai largamente diffuso, andrà sanzionata interrompendo in modo metrico ogni tentativo di lezione? E il ricambio d’aria sarà garantito nonostante le lamentele dei discenti che hanno sempre freddo anche quando l’aria interna all’aula è asfittica e maleodorante?

Ma sono quisquilie, si può procedere su cose più serie. Forse sul numero alto di persone che si incroceranno sul trasporto pubblico tra le 8 e le 9 del mattino, rendendo una barzelletta il distanziamento sociale? Del resto ci siamo già allenati sui treni regionali di pendolari e vacanzieri.

Arrivo a dire che ormai faccio finta di nulla persino quando il Gotha televisivo, giornalisti politici e soloni vari, parla degli otto milioni di studenti che devono essere in sicurezza, dimenticandosi di altri due milioni di persone, docenti e personale scolastico, che di quei ragazzi si occupa materialmente.

Su cosa però non posso fare finta che “tutto va ben, tutto va ben”, è quando risento dire per l’ennesima volta che “in Italia dal 5 marzo non si sono più fatte lezioni”. A parte che le lezioni si tengono e non si fanno, perché nessuna trasmissione giornalistica ha la decenza di sentire la voce di qualche docente? Ma voi che pontificate sul tutto e sul nulla, dove eravate in quelle mattine in cui, attraverso le lezioni, a distanza solo per i devices usati, con i miei studenti si cercava di leggere la fatica virale del mondo, analizzando tracce del dramma attraverso testi antichi e parole che fungessero da nuova mappa? E che dire delle notti, in cui le mail di questi adolescenti mi giungevano con quel carico pesante di ansia, paura, dolore? Dove eravate quando quegli stessi ragazzi si preparavano con scrupolo e profondità al loro esame di stato in epoca Covid19?

E anche se, come dice Pessoa, “il poeta è un gran fingitore“, quando vi sento parlare della scuola non riesco più a far finta che tutto vada bene.

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Intanto c’è silenzio.

Nessuna campanella di scuola a segnare la fine dell’anno di scuola. Nessun vociferare di studenti a sciamare in ogni dove negli istituti scolastici per salutare, abbracciare, scappare. Nessun rito acquatico-sciamanico all’uscita per la purificazione dai giorni infiniti, troppo presto finiti, trascorsi sui banchi.

E ogni prof, e ogni studente a rimanere solo con sé stesso. Gli occhi fissi non nell’altro in un arrivederci ma nello schermo di un computer che è divenuto muto, dopo aver fatto la sua parte per più di tre mesi. Lunghi, tristi, pesanti. Virali. Aggettivo che si è rivelato nelle sue spire più drammatiche e impensabili.

Davvero strano questo ultimo giorno di scuola nel tempo Covid19. Come se l’emergenza avesse fatto appunto emergere, dal fondo di ciascuno, le paure più recondite, antiche, ancestrali. Sogni divenuti incubi. Con la scuola, tutta, improvvisamente sparita. Una storia degna di Stephen King.

Solo silenzio. Ma non quello successivo all’animato abitare delle aule. Questo è un silenzio solo. Che fatica, persino lui, ad esplicare il suo ruolo. Perché non riecheggia, se non come un’eco lontana, la parola “vacanze”.

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Norman Rockwell, “American School” – 1946

Ritorno a scuola.

Ma, pay attention, non inteso come back to school”, espressione che ricade a pioggia sull’intera società nella ripresa dei suoi ritmi, familiari, televisivi, infrastrutturali. In virtù del sostantivo, “ritorno” appunto, che conduce nuovamente tutti, obtorto collo, tra i banchi degli edifici scolastici.

Intendo invece “ritorno” come verbo al tempo presente in prima persona singolare. “Io ritorno a scuola”. Già. Per un altro anno scolastico. Quasi alla stregua di quei ripetenti per cui sembra perso il verso, mai del tutto contrario ma un po’ ostinato sì, di imparare.

E così, “ritorno” a scuola. Verbo peraltro intransitivo, che in realtà di intransitivo ha proprio nulla. Perché tutto a scuola, anche nel suo ritorno, è sempre transitivo, “apre cammino”. Almeno in quell’idea di “entrare”, ancora una volta, in un luogo in cui i pensieri si concepiscono attraverso gli incontri delle menti, fino a vederli con fatica e soddisfazione partorire. Tra gioia e sofferenza. Vita che pulsa. Sorrisi e malinconie, successi e frustazioni, traguardi e ripartenze.

Eterni ritorni. Resi fecondi dal fluire condiviso dei giorni.

Ps: buon anno scolastico a tutti. Anche a chi, solo di sguincio, intravede la Scuola.

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