Siamo nei giorni del ricordo del grande Massimo Troisi, che avrebbe compiuto 70 anni il 19 febbraio e che a breve rivedremo in sala con il docu-film “Laggiù qualcuno mi ama”, omaggio di Mario Martone all’attore napoletano più amato dopo Edoardo De Filippo e Totò.
Se ne andava, per quel cuore malato, alla fine delle riprese de “Il postino”, in cui si rende esplicito il suo essere poeta della vita, capace di raccontarne felicità e fragilità. Insieme a quello sguardo un po’ sornione, tanto malinconico, che lo aveva reso celebre.
I titoli dei suoi film condensano la sua filosofia di vita e il suo rapporto col pubblico: “Ricomincio da tre”, “Scusate il ritardo”, “Le vie del Signore sono finite”, “Pensavo fosse amore invece era un calesse”, fino a “Non ci resta che piangere” insieme ad uno strepitoso Benigni in un surreale viaggio nel tempo con Leonardo e le sue invenzioni.
Il suo vestire ed essere Pulcinella nasce da ragazzo, e della maschera amava, come ricordava lui, “l’imbarazzo, la timidezza, il non sapere mai da che porta entrare e le sue frasi candide“. Quel modo di essere che lo fa conoscere al grande pubblico televisivo nel 1977 con “La smorfia” insieme agli amici Lello Arena ed Enzo Decaro nel programma “No stop”, intuizione anti-narrativa del geniale regista Enzo Trapani.
E Troisi c’era già tutto, parlare strascicato quasi incomprensibile ma mimica universale, calzamaglia nera, follia quasi surrealista dell’improvvisazione. Iniziando un viaggio breve ma denso che lo renderà, attraverso un talento immenso, eterno folletto, poeta bambino.