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Posts Tagged ‘attacco terroristico’

Furono i 102 minuti che scolvolsero il mondo e segnarono l’inizio del nuovo millennio.

11 settembre 2001, New York, World Trade Center. Mattina dal cielo terso, Manhattan già indaffarata. Come sempre. Fino ad allora.

Alle ore 8.46 un aereo, il volo American Airlines 11 con a bordo 87 persone e 5 dirottatori di Al Qaeda, “entra” come una lama nella Torre Nord del WTC tra i piani 93 e 99. Esplosione, fumo, fiamme. E sconcerto. Si pensa ad un incidente. Ma è difficile pensare alle Torri Gemelle come ad un ostacolo non visibile. In poco tempo le televisioni di tutto il mondo aprono gli occhi di ciascuno su quei grattacieli tanto famosi.

Alle ore 9.03 un secondo aereo Boing 767, il volo 175 United Airlines con 60 persone e altri 5 dirottatori, si schianta sulla Torre Sud tra i piani 77 e 85. Altra esplosione e incendio. Incredulità e orrore in diretta mondiale. “Sembrava un film”, diranno tutti. Impossibile da sembrare vero. Eppure lo era. E si capisce che si tratta di un attacco terroristico all’America. Sul suo suolo, al suo cuore. Che si scopre fragile. Il Presidente Bush in visita ad una scuola, avvertito, per qualche minuto resta completamente attonito. Intanto l’incendio nelle Torri divampa. E alcune delle persone intrappolate nei piani più alti scelgono di lasciarsi cadere nel vuoto. Chi riesce fugge da quell’inferno. Dopo aver sceso migliaia di scale e incrociando in salita i Vigili del Fuoco, veri eroi di quel terribile giorno. Immolati al proprio dovere, pur sapendo.

Alle ore 9.37 un terzo aereo dirottato, il volo American Airlines 77, con 59 persone e 5 dirottatori, finisce contro il lato ovest del Pentagono, sede del Dipartimento della Difesa in Virginia, causando il crollo della facciata ovest dell’edificio.

Alle ore 9.59 un boato e la Torre Sud del World Trade Center implode su se stessa. Al suo posto una nuvola densa di polvere che corre dietro chi corre, facendo scendere una coltre nebbiosa su Manhattan. Ma non è vapore. È fumo, cenere, detriti, diossina, amianto.

Alle ore 10.03 un quarto aereo diretto a Washington, il volo United Airlines 93 con 40 persone e 4 dirottatori, precipita in Pennsylvania, a seguito di una eroica rivolta dei passeggeri.

Alle ore 10.28 si accascia su se stessa anche la Torre Nord, sparendo per sempre dallo skyline più famoso del mondo. Al suo posto una nuvola ancora più scura e pregna e frettolosa della precedente fa scendere la notte sugli isolati adiacenti coprendo e inghiottendo quanto incontra: auto, strade, persone. Solo il silenzio sembra poter coesistere con l’Apocalisse. Ground Zero sarà il nuovo nome del luogo in cui svettavano le Torri Gemelle di New York. Un ammasso impietoso di rovine, lamiere e vite umane. Un profondo buco al centro della Terra che solo il “Memorial 9/11” gli renderà poi il giusto tributo.

Quasi tremila vittime, circa seimila feriti. Senza contare le vittime successive, dovute a polveri e trauma.

A vent’anni di distanza da quell’incubo dove siamo? La risposta sembra forse in quel cerchio chiuso proprio vent’anni dopo intorno all’Afghanistan. Tornando, purtroppo, poco più in là della casella di partenza. Quasi abituati al terrore. Inaspettato e spietato. Come un prezzo da pagare al nuovo millennio.

Steve McCurry, 11 settembre 2001, New York – World Trade Center

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Nel tempo 2.0, quello social & terrorist, un evento pubblico porta ormai con sé, sottotraccia, un’ansia strisciante per qualcosa di pericoloso che può accadere. Così qualsiasi rumore o voce o spostamento, seppur minimo, deflagra su quella paura sottile trasformandola immediatamente in panico. L’effetto domino fa il resto. Fuggi fuggi scomposto, e l’uomo si fa mandria. Corre senza fermarsi, travolgendo tutto ciò che incontra. Compresi i suoi simili.

Così è avvenuto nel cuore di Torino, di fronte ai maxischermi posizionati in Piazza San Carlo (scelta discutibile) per la finale di Champions, Juventus versus Real Madrid. Oltre 1500 tra contusi e feriti, di cui alcuni gravi. Il pensiero va ad un’altra finale bianconera di Champions, allo stadio Heysel di Bruxelles e al suo tributo di sangue.

Ma nel tempo 2.0 social & terrorist le notizie globali si spostano velocemente e il Big Eye è sul London Bridge. Ancora un attacco terroristico nella capitale britannica. In un “normale” sabato sera, terrore tra strade e ristoranti, con accoltellamenti, urla, sbigottimento, vittime, feriti, polizia in assetto di guerra.

Così la nostra angoscia si rinforza. A tal punto da farci tracimare anche da soli. Ad ogni frullo d’ali.

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Ancora. Un nuovo attacco. Un’altra ferita.

Questa volta al cuore di Londra. A quel Parlamento che pulsa democrazia per tutti. Un simbolo potente. Di istituzioni, leggi, uguaglianza, confronto.

Lo sfregio umano e immaginifico a Westminster colpisce tutti noi. Ma non solo da europei. Ancor più ci ferisce da cittadini del mondo.

Memori di quanto diceva sir Winston Churchill, vicino alla cui statua é avvenuto l’attacco: “Fanatico é colui che non può cambiare idea e non intende cambiare argomento.

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cielostellato

E’ l’inizio di luglio. Giornate lunghe, in cui i vestiti perdono peso. E a volte anche gli argomenti.

Per me il 2 luglio è Palio. Di Siena, della Madonna di Provenzano. Contrade, sorteggi, maneggi. La fortuna a rimpiattino tra i canapi, la gente in silenzio nella “conchiglia”. E l’ombra, ancora medievale, della Torre del Mangia. Poi l’attesa, la mossa, la corsa. In premio il drappellone, che quest’anno ricorda l’anno giubilare, della misericordia, che porge sostegno a chi ne ha bisogno. Anticipo di consolazione.

Questo 2 luglio portava con sé anche un’altra sfida, quella calcistica degli Europei, Italia-Germania, che da sempre è confronto oltre il pallone. E allora sarebbe stato tifo, aperto e sofferto. E due visioni di vita, fantasia versus rigore. Che poi nella notte sarebbe diventata la parola chiave.

Ma questo 2 luglio diventava ormai altro, con la realtà infine evidente sull’esito di un blitz lontano, in terra bengalése, ma che parla anche italiano. Così l’attacco terroristico nel ristorante di Dacca, vicinissimo all’ambasciata italiana, rivelava non solo la conclusione tragica, 20 vittime di cui 9 italiane, ma l’orrore della carneficina, una mattanza in nome di una barbara e primitiva follia.

In questo modo una leggera e spensierata notte di mezza estate si faceva pesante e di pensieri densa. Con la tristezza a sfaldare l’aria tersa.

Notte di perdite, tragiche e assurde. Notte in cui cerchi àncore, ma si affacciano abissi. Se ne andava Michael Cimino, proprio il regista che alle ferite del sud-est asiatico aveva dedicato “Il cacciatore”. E se ne andava anche il Premio Nobel Elie Wiesel, sopravvissuto alla Shoah per darne voce con “La Notte”. Un faro per gli uomini tutti, colui che ci ha sempre esortato al “Mai in silenzio davanti al Male”. Un monito da tenere presente sempre. Anche in questa notte di mezza estate, 2 luglio 2016.

Ps: Yves Bonnefoy, il più grande poeta di lingua francese del nostro tempo, si era spento ventiquattro ore prima. La sua poesia, altissima, ci sia da boa nei marosi di questo reo tempo:

Così abbiamo dormito, non so quante
Estati nella luce; e non so ancora
In quali spazi i nostri occhi si aprano.
Io ascolto, niente vibra, niente ha fine.

(da “Le nuvole” di Yves Bonnefoy)

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bruxelles2

Perché colpire l’Europa? Nel suo cuore e abitudini e vita?

Forse perché da settant’anni noi europei abbiamo imparato a non fare la guerra? O forse perché stiamo ripristinando muri dimostrando di non aver imparato quasi niente?

L’aria è mefitica, pesante, velenosa, mortale. Con voli di corvi a volare bassi sui cuori. Depredandoli di sogni e futuro. Perché ci stiamo abituando, purtroppo, a sopravvivere alla giornata. Prospettive appiattite sul torbido orizzonte.

Piange Tintin. Piange l’Europa. E buona parte di mondo.

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