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Posts Tagged ‘Arlecchino’

La prima volta che vidi Dario Fo avvenne per “colpa” di mia mamma.

Ero bambina e dei suoi spettacoli teatrali visti in televisione ho il ricordo dell’allegria. Tanta e colorata. Frammista all’odore di casa. Con quella strampalata sigla/filastrocca di “Mistero buffo”, Ma che aspettate a batterci le mani, in cui riconoscevo le parti folli e teatrali che si agitano sottotraccia nelle persone, me compresa. Avevo l’idea di un surreale minestrone in cui potevano convivere in modo giocoso “i re dei ciarlatani” e “Napoleon di Francia”, “trenta lune di cartone” e il cuore a fare “seimila capriole”.

Più avanti ne colsi lo scherzo e lo sberleffo, il talento e il dileggio, il sacro e il profano. Insieme al lavoro profondo che necessita la leggerezza, per essere fruita senza essere vista.

Poi lo incontrai, il Giullare Dario Fo. Primi anni universitari, esame di Storia del Teatro da preparare, la figura di Arlecchino, Harlequin, “il re dell’inferno” da approfondire. E lui, Dario Fo, emanazione in terra di quel re saltimbanco, era a teatro con quella maschera. Ricordo lo spettacolo, ma soprattutto il dopo. L’attesa al camerino, l’ansia di incontrarlo, la parola alle corde. E poi eccolo.

La sensazione resta, anche nel ricordo, quella di allora. Era “tanto”, in tutto. Come se fosse necessario un “codice” per coglierlo appieno, per decifrarlo oltre il livello “letterale”.

E lì compresi che alcuni uomini sono una fortuna per quelli a loro contemporanei. Un’occasione per gustare frammenti di Cose Alte. Non sempre e del tutto comprensibili, ma ghiotte e indispensabili al nostro umano “viaggio”.

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E se autentica audacia fosse, almeno per un giorno, il Martedì “grasso”, non indossare la solita “maschera”?

Restando infine “nudi”, soprattutto i “Re”?

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ARLECCHINO: dal tedesco Hölle König, “re dell’inferno”, traslato in Helleking, poi divenuto Harlequin. La derivazione infernale del nome rimanda alla ritualità agricola, visto che Arlecchino è anche il nome di un demone sotterraneo, quello spirito della natura mascherato che, ereditato nel Cinquecento dalla Commedia dell’arte italiana, ne conserverà solo il travestimento.

Maschera bergamasca, Arlecchino è diretto discendente dello “Zanni” (Gianni) veneto-lombardo, uno tra i personaggi più antichi della Commedia dell’arte, rappresentante il servo astuto ma anche pasticcione di derivazione plautina. La sua natura di servitore e confidente infido e maldestro viene raccontata al meglio nella commedia di Goldoni “Il servitore di due padroni”, in cui non perde occasione di costruire raggiri che vengono inevitabilmente scoperti e puniti, suscitando l’ilarità generale. Del resto Arlecchino è quello che, di fronte alla possibilità di lavorare per due padroni, dice: “Oh bella! Ghe n’è tanti che cerca un padron, e mi ghe n’ho trovà do. Come diavol oia da far? Tutti do no li posso servir. No? E perché no?“.

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La maschera

Dario Fo, Disegno per "Hellequin, Harlekin, Arlecchino"- 1985

Devo fabbricarmi un sorriso, munirmene, mettermi sotto la sua protezione, frapporre qualcosa tra il mondo e me, camuffare le mie ferite, imparare, insomma, a usare la maschera.”

Emil Cioran, filosofo (1911-1995)

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