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Posts Tagged ‘Antonio Tabucchi’

Tiziano Vecellio, “Caino uccide Abele” – 1543/1545

Ripenso alla vicenda tristissima e annunciata di Willy Duarte Monteiro. Al suo omicidio volontario per mano di “due loschi figuri”, come il Pereira di Antonio Tabucchi definisce gli spietati assassini di un altro giovane, idealista e sorridente alla vita, Francesco Monteiro Rossi. Un personaggio nato dalla penna dello scrittore, che con Willy ha in comune il cognome Monteiro e un pestaggio mortale. Addotto nel romanzo dalla violenza intimidatoria del regime dittatoriale del Portogallo di Salazar, addotto qui dalla violenza sopraffatoria di un regime piccolo, ma non meno pericoloso, di una banda delinquenziale in un piccolo borgo nell’Italia di questi anni ’20 del secolo nuovo.

E allora penso al tempo che passa, ma in realtà non passa mai. Almeno come Storia. Che anzi si ripete. Con le sue storture, i suoi drammi/danni, le sue violenze. E riavvolgendo il nastro, come in un film, riprendono vita, e ahimè morte, i fotogrammi del secolo scorso. Con leggi fascistissime e poi razziali. Con deportazioni e violenze. Con la morte assegnata per capriccio e per procura. E poi i pochi sopravvissuti a raccontarci con dignitosa fatica gli orrori indicibili. Tra cui la senatrice Liliana Segre. Che in occasione del suo novantesimo ha ricordato, ancora una volta, la necessità di tenere alta l’attenzione.

Perché la sopraffazione può annidarsi ovunque. Perché Caino uccide Abele, ancora. E noi tutti non possiamo volgere altrove lo sguardo, riducendo l’evento ad un caso di cronaca. Peraltro nerissima.

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La fine drammatica di Giulio Regeni, ricercatore italiano brutalmente pestato e ucciso nell’Egitto di al-Sisi, ricorda in modo incredibilmente inquietante quella di Monteiro Rossi nel Portogallo di Salazar narrato in “Sostiene Pereira“.

Alcune citazioni dal libro di Antonio Tabucchi in omaggio a Giulio Regeni e alla sua coraggiosa ricerca intorno alla giustizia e alla verità.

  • Il paese taceva, non poteva fare altro che tacere, e intanto la gente moriva e la polizia la faceva da padrona.
  • Monteiro Rossi è il mio praticante, il ragazzo che mi scrive gli articoli che non posso pubblicare.
  • I due tangheri sembravano nervosi e avevano un’aria affannata. Il giovanotto non voleva parlare, dissero, gli abbiamo dato una lezione, abbiamo usato le maniere forti, forse è meglio filarcela.
  • Pereira si sedette davanti alla macchina per scrivere. Scrisse come titolo: Assassinato un giornalista. Sarebbe bene che le autorità indagassero su questo turpe avvenimento. Monteiro Rossi è stato pestato a sangue, e dei colpi, inferti con il manganello, o con il calcio della pistola, gli avevano fracassato il cranio. Invitiamo le autorità competenti a vigilare attentamente su questi episodi di violenza che alla loro ombra, e forse con la complicità di qualcuno, vengono perpetrati oggi in Portogallo.

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Questa notte l’ora (proprio un’ora), sfuggendoci più in fretta, si farà legale. E, vero paradosso, ci ruberà del tempo.

Così la sensazione di invecchiamento dello stesso si farà più vivida.

Costringendoci a fare i conti con l’inafferrabilità delle lancette.

E allora torna in mente quel passo di Tabucchi, dal libro “Il tempo invecchia in fretta”: “Le parve di essere quel bambino che all’improvviso si ritrovava con un palloncino floscio tra le mani, qualcuno glielo aveva rubato, ma no, il palloncino c’era ancora, gli avevano soltanto sottratto l’aria che c’era dentro. Era dunque così, il tempo era aria e lei l’aveva lasciata esalare da un forellino minuscolo di cui non si era accorta?“.

Forse il tempo è “solo” un palloncino. Ma che tristezza quando si affloscia o vola via…

 

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Antonio Tabucchi se ne andava un anno fa, affrontando il Viaggio forse come uno di quei suoi viaggi di cui ci ha deliziato e incantato.

Non posso non pensare a cosa avrebbe detto di fronte al vertiginoso succedersi di eventi a cui abbiamo assistito negli ultimi tempi. Lui che nella scrittura vedeva anche un impegno etico.

E forse oggi qualche nota di fado l’avrebbe suonata, tra l’indignato e il malinconico, per le rovine del suo Paese.

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La vita non è in ordine alfabetico come credete voi. Appare… un po’ qua e un po’ là, come meglio crede, sono briciole, il problema è raccoglierle dopo, è un mucchietto di sabbia, e qual è il granello che sostiene l’altro? A volte quello che sta sul cocuzzolo e sembra sorretto da tutto il mucchietto, è proprio lui che tiene insieme tutti gli altri, perché quel mucchietto non ubbidisce alle leggi della fisica, togli il granello che credevi non sorreggesse niente e crolla tutto, la sabbia scivola, si appiattisce e non ti resta altro che farci ghirigori col dito, degli andirivieni, sentieri che non portano da nessuna parte, e dai e dai, stai lì a tracciare andirivieni, ma dove sarà quel benedetto granello che teneva tutto insieme… e poi un giorno il dito si ferma da sé, non ce la fa più a fare ghirigori, sulla sabbia c’è un tracciato strano, un disegno senza logica e senza costrutto, e ti viene un sospetto, che il senso di tutta quella roba lì erano i ghirigori.

Antonio Tabucchi, da “Tristano muore”.

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Di  che si tratta? Guardi, disse lui, non è proprio un cocktail e neanche un longdrink, diciamo che è una via di mezzo, è una cosa di mia invenzione, si chiama ‘Janelas Verdes Dream’. Il nome è proprio ben trovato, dissi io, quali sono gli ingredienti? Guardi, caro amico, disse confidenzialmente il Barman del Museo di Arte Antica, in genere non è mia abitudine rivelare gli ingredienti della mia cucina, è un segreto professionale, ma lei è straniero e glieli dico, sono tre quarti di vodka, un quarto di succo di limone e un cucchiaio di sciroppo di menta piperita, si mette il tutto nello shaker con tre cubetti di ghiaccio, si agita fino a farsi dolere il braccio e prima di servire si toglie il ghiaccio, la vodka e il succo di limone legano perfettamente, e lo sciroppo di menta piperita, oltre a dargli il profumo, gli dà quel colore verde che è necessario per via del nome, non so se mi capisce: verde, ‘Janelas Verdes’, è fondamentale. Bene, dissi io, mi sa che voglio proprio provarlo il ‘Janelas Verdes Dream’, mi ha proprio stuzzicato.

Antonio Tabucchi, da “Requiem”.

Ps: forse è per questo che tanto amo la scrittura di Tabucchi, perché ha la capacità rara di prestidigitare la tua immaginazione di lettore fino a materializzare di fronte a tuoi occhi l’oggetto di cui sta raccontando. A quel punto anche il gusto di un drink ti scende dentro reale, con la sua frescura verde. Grazie, Antonio.

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“Sostiene Pereira di averlo conosciuto in un giorno d’estate. Una magnifica giornata d’estate, soleggiata e ventilata, e Lisbona sfavillava. Pare che Pereira stesse in redazione, non sapeva che fare, il direttore era in ferie, lui si trovava nell’imbarazzo di metter su la pagina culturale, perché il “Lisboa” aveva ormai una pagina culturale, e l’avevano affidata a lui. E lui, Pereira, rifletteva sulla morte. Quel bel giorno d’estate, con la brezza atlantica che accarezzava le cime degli alberi e il sole che splendeva, e con una città che scintillava, letteralmente scintillava sotto la sua finestra, e un azzurro, un azzurro mai visto, sostiene Pereira, di un nitore che quasi feriva gli occhi, lui si mise a pensare alla morte. Perché? Questo a Pereira è impossibile dirlo.”

“Sostiene Pereira” di Antonio Tabucchi

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Amo da sempre la letteratura perché, come diceva Antonio Tabucchi, è ” qualcosa che coinvolge i desideri, i sogni e la fantasia “.

Ricordo quanto mi colpì, anni fa, il titolo di un suo romanzo, “La testa perduta di Damasco Monteiro”, con quella testa che sembra vagare in ogni dove.

Divenni sua assidua lettrice incontrando ancora un Monteiro, questa volta un Monteiro Rossi, in quel libro di rinascita che è “Sostiene Pereira”, in cui il ripetitivo astio per l’intera storia, appunto sostenendoti.

Mi incuriosì poi molto quanto Tabucchi ha pensato e tradotto e scritto Fernando Pessoa, al punto da averne segnato l’amore per Lisbona. E così iniziai, per interposto scrittore, ad amare gli eteronimi in cui scriviamo Pessoa e quella città così bianca e decadente che è Lisboa.

Quando arriva a Lisbona, il suo “Requiem”, prezioso e incantato viatico per aggirarsi senza tempo tra i vicoli abbaglianti della città del Fado.

I suoi ultimi libri mi sono poi venuti incontro come segni invitanti per il mio percorso, da “Il tempo invecchiato in fretta” a “Viaggi e altri viaggi”. Con quella sua scrittura unica, immaginifica e incantatrice sempre.

Stavo per avviarmi alla scoperta di quel suo piccolo libretto edito dalla Sellerio, “Racconti con figure”, in cui ogni storia è preceduta da un quadro che ne è spunto o pretesto. Leggerlo ora assumerà una sfumatura diversa. Mi verrà più spesso in mente una frase del suo romanzo: ” Le persone sono lontane quando ci sono accanto, figurarsi quando sono lontane davvero.

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