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Posts Tagged ‘alluvione’

Alluvione Marche – 15 settembre 2022

In un mondo sostanzialmente alterato, un mondo in cui l’innalzamento del livello dei mari avrà inghiottito le Sundarban e reso inabitabili città come Kolkata, New York e Bangkok, i lettori e i frequentatori di musei si rivolgeranno all’arte e alla letteratura della nostra epoca cercandovi innanzitutto tracce e segni premonitori del mondo alterato che avranno ricevuto in eredità. E non trovandone, cosa potranno, cosa dovranno fare, se non concludere che nella nostra epoca arte e letteratura venivano praticate perlopiù in modo da nascondere la realtà cui si andava incontro? E allora questa nostra epoca, così fiera della propria consapevolezza, verrà definita l’epoca della Grande Cecità”.

Da “La Grande Cecità” (2016) di Amitav Ghosh

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La devastante alluvione di Germania-Belgio-Olanda racconta di un paesaggio scardinato. Uscito cioè dai cardini precedenti. Non di natura, bensì quelli decisi dall’Uomo. Per cui il corso di un fiume è stato deviato e reso ruscello per dare spazio ad una miniera a cielo aperto. E le dighe imperversano sulle mappe come le armate a Risiko, senza tener conto che ora l’acqua giunge improvvisa e torrenziale per il riscaldamento globale.

Bilancio? Il paesaggio geografico si riprende con furia i suoi antichi spazi, e il paesaggio umano conta purtroppo e ancora una volta le sue vittime.

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Guardando le immagini di devastazione della “Foresta dei violini” in Val di Fiemme dopo il passaggio della burrasca di acqua e vento che l’ha falcidiata, si può appena sentire un risuonare lieve, tipico di quegli alberi da Stradivari, ora solo più ombra di sé stessi.

È un canto dolente, una nenia struggente che sussurra alcune meste parole della “Dolcenera” di Fabrizio De André:

“e il tumulto del cielo ha sbagliato momento
acqua che non si aspetta altro che benedetta
acqua che porta male sale dalle scale sale senza sale sale
acqua che spacca il monte che affonda terra e ponte”. 

Deturpando bellezza e sogni e vita. Perché “nera di malasorte che ammazza e passa oltre“.

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Risultati immagini per alluvione di firenze

Cinquant’anni fa, il 4 novembre 1966, dopo intense precipitazioni l’Arno straripava e allagava Firenze, sommergendola di fango.

Dalle ore 4 del mattino la situazione precipita: le acque dell’Arno invadono il Lungarno Benvenuto Cellini, giungono alla Biblioteca Nazionale Centrale nel quartiere di Santa Croce. Salta la luce elettrica, gli orefici del Ponte Vecchio cercano di mettere in salvo i gioielli preziosi, la tipografia del quotidiano La Nazione allagata di 5 metri va fuori uso. Alle ore 9 l’Arno “entra” in Piazza del Duomo e in alcune zone della città ha già raggiunto il primo piano delle abitazioni. In giornata la situazione precipita ulteriormente, con l’acqua a portare via anche vite umane.

Alle 21,42 così l’ANSA riassume l’alluvione: “Firenze è un immenso lago immerso nelle tenebre, di acque limacciose che si estendono per oltre sei chilometri quadrati nei quartieri a nord dell’Arno e in un’area imprecisata nei quartieri a sud del fiume. L’inondazione, la più grossa dal 1270, interessa due terzi della città. Manca l’acqua, manca il gas, l’energia elettrica è erogata soltanto in alcune zone, il telefono non funziona. La situazione è drammatica nelle case di abitazione e negli ospedali. Anche nelle zone risparmiate dall’inondazione scarseggiano i rifornimenti alimentari; nelle altre è impossibile l’approvvigionamento“.

Innumerevoli i danni ai depositi degli Uffizi, ma qui furono gli “Angeli del fango” ad avere la meglio sull’acqua. Migliaia di giovani di tutte le nazionalità, subito dopo l’alluvione, arrivarono in città per salvare le opere d’arte e i libri.

Ricordando ieri e oggi, tali eventi siano da monito soprattutto alle istituzioni. Essere vigili rispetto alla forza della natura, attraverso il rispetto e la cura del territorio. Sottraendo alla noncuranza e al malaffare il bene di tutti.

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costa-azzurra

A leggere le cronache del 2015 – autunno, un lettore del futuro vi troverebbe la pioggia cattiva e torrenziale che trascina con sé tutta la vita che incontra, falcidiandola. Rendendo mortifero e opaco l’azur della costa francese.

Scoprirebbe poi che quanto è lì sopravvissuto viene del tutto distrutto dall’uomo, contrapposto al suo simile/diverso. Usando coltelli sui fratelli. E bombe nell’antica e bella Mesopotamia. Chi lancia ordigni isolato, chi comandato.

E a contorno, si fa per dire, leggerebbe di monopoli, ruberie, diritti calpestati, povertà. Miserie umane. Forse solo miserie, in cui l’umano si è perso altrove.

Il lettore del futuro, a tal punto, riflettendo sulle cronache del 2015 – autunno, direbbe, come qualcun altro secoli prima, “così va spesso il mondo, o almeno così andava nel secolo ventesimo primo.

bombe

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stivale italia

Gli italiani di buona volontà indossano sempre più gli stivali.

Per spalare il fango tracimante da un terreno che ormai urla nient’altro se non vendetta dopo decenni in cui ha sentito estirpare dalla propria “pelle” quegli alberi le cui radici lo drenano e lo trattengono.

Dei fiumi, poi, che esondano non tanto per la nuova quantità d’acqua che scende dal cielo (pensavamo che l’effetto serra fosse semplicemente un curioso e nuovo modo di dire…) quanto per avere gli alvei occupati da tutto eccetto che da se stessi, si è già detto alquanto.

Che sia solo un caso che la forma del nostro Paese sia uno Stivale?

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alluvione

Un ciclico ritorno liquido quello della Natura, che dai cieli italiani piange acqua nei primi giorni di novembre. Sempre. E ogni volta appare come un evento speciale, inatteso, unico. Con i fiumi che esondano rompendo argini e trascinando vite umane. L’Arno nel 1966, il Tanaro nel 1994, il Bisagno e il Fereggiano troppe volte. solo per citarne alcuni.

La Natura, si sa, svolge il suo compito. Ma noi uomini che facciamo? Quelli al Potere guardano, mentre gli altri, quelli “piccoli”, quando non soccombono si tirano su le maniche, alla “grande”.

Ps: un pensiero affettuoso e civico a chi, tra il 5 e 6 novembre 1994 nella valle del Tanaro, purtroppo soccombette.

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sardegna

Un pensiero al dramma che sta vivendo questa terra, scheggia d’Italia sdraiata in un mare di smalto, ora ferita da un’acqua impazzita e furiosa.

Con la speranza che la Sardegna torni presto ad essere quella descritta da Elio Vittorini in “Sardegna come un’infanzia”, in cui si sente l’odore “del sole. Di fuoco puro, privo d’ogni acredine di combustibile. E di pietra secca. Ma di brughiera anche. E di spoglie di serpi“. Con quella solitudine densa e piena, ma vitale “di ogni cosa, di ogni rupe che par chiusa in se stessa meditando, e d’ogni albero o viandante che s’incontra“. E una luce speciale, “assai al di là dell’orizzonte“.

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Maurizio Cattelan, "Untitled" (2001)

Scrive Primo Levi ne “I sommersi e i salvati”: “Non esistono problemi che non possano essere risolti intorno a un tavolo, purché ci sia volontà buona e fiducia reciproca: o anche paura reciproca.

E allora, in tanta alluvione, idrogeologica, etica, finanziaria, riusciremo a non essere del tutto sommersi da quel fango, respirando una boccata d’aria fresca come l’omino dell’artista Maurizio Cattelan?

O l’omino sta piuttosto affondando?

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Fatalmente tutto è accaduto a quarantacinque anni esatti dall’alluvione di Firenze.

E di fronte al rumore urlato delle immagini restiamo sempre più muti e spiazzati.

Ma almeno un omaggio a chi nel terzo millennio se ne va per eccesso d’acqua in una metropoli.

Con quella faccia un pò così
quell’espressione un po’ così
che abbiamo noi 
prima di andare a Genova
che ben sicuri mai non siamo
che quel posto dove andiamo
non c’inghiotte e non torniamo più.
Eppur parenti siamo un po’
di quella gente che c’è lì
che in fondo in fondo è come noi selvatica
ma che paura che ci fa quel mare scuro
che si muove anche di notte 
e non stà  fermo mai.
Genova per noi 
che stiamo in fondo alla campagna
e abbiamo il sole in piazza rare volte 
il resto è pioggia che ci bagna.

Paolo Conte, da “Genova per noi”

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