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Posts Tagged ‘Afghanistan’

Graffito dell’artista afghana Shamsia Hassani

Tutto è drammatico a Kabul.

È drammatico il bilancio degli annunciati attacchi terroristici all’aeroporto.

È drammatico il tentativo disperato di salire su uno degli ultimi aerei in uscita dall’Afghanistan.

È drammatico partire, lasciando tutto.

È drammatico restare, perdendo tutto.

È drammatico assistere ancora una volta ad un’umanità di “sommersi e salvati”.

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I talebani, senza incontrare resistenza alcuna, sono nuovamente a Kabul. Al potere, col loro oscurantismo. E l’orologio per l’Afghanistan torna indietro di vent’anni, e anche più. Perché l’Occidente, cioè tutti noi del blocco Nato, ha illuso quel Paese e i suoi abitanti che un altro modo di vivere fosse possibile. Soprattutto per le donne afghane.

Laleh Osmany e Tahmina Arian, attiviste per i diritti delle donne in Afghanistan e capofila del movimento #whereismyname, hanno lavorato per consegnare un nome e un’identità a quelle donne: “In Afghanistan c’è una tradizione che proibisce di chiamare in pubblico le donne con il loro nome, è considerato peccato. […] Il nome delle donne afghane non compare nemmeno nei loro documenti, nel certificato di nascita, nelle prescrizioni del medico, negli inviti di matrimonio, nei certificati di nascita dei bambini o anche nel certificato di morte e nella pietra del cimitero. […] D’ora in poi, i nomi delle madri verranno stampati accanto al nome dei padri”, raccontava qualche anno fa Tahmina Arian.

Finalmente per le ragazze afghane era possibile essere identificate col proprio nome (senza essere la figlia o la moglie di qualcuno), col proprio volto (senza la buia e umiliante prigione del burqa), e con un percorso di studi che aprisse alla conoscenza e al mondo, cioè alla vita.

Ora tutto si fa oscuro in Afghanistan. Ma per le donne afghane la notte scende di più. Completamente nera.

Shamsia Hassani, prima street artist donna di Kabul

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Quale singolare segno per Gino Strada, colui che era sbarcato ovunque con la sua creatura Emergency, chiudere il proprio viaggio terreno nel luogo dello Sbarco per antonomasia, la Normandia, che fu mano tesa all’Europa occupata.

E anche da Emergency mano tesa con cure mediche e chirurgiche gratuite per tutti. Buoni, presunti buoni, cattivi e presunti cattivi. Senza distinzione. Quasi 11 milioni di persone assistite. Un numero imponente. Che è potuto essere per la visione chiara di Gino Strada su cosa poteva essere e significare Emergency per quei luoghi del mondo in attesa di uno “sbarco alleato” di cura.

Eppure ciò che più fa riflettere del percorso di questo uomo è la generosità di sé, in modo incondizionato, verso quel fine, cioè rimarginare ferite nei luoghi di guerra. Ovvero, donare il proprio tempo di vita agli altri. Che è qualcosa di più altruistico e intimo e coraggioso della pur nobile filantropia. Ma come diceva Gino Strada, “curare i feriti non è né generoso né misericordioso, é semplicemente giusto. Lo si deve fare”.

Difficile pensarci senza quella potente visione del mondo di Gino Strada. Senza guerre, in pacifica convivenza tutti, ovunque, ricucendo ferite, se e dove sono. Sarà anche più arduo il procedere senza la sua voce forte, di richiamo all’indifferenza. Il mondo non può che essere grato del passaggio di tali uomini.

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afghanistan

Ogni tanto ripenso a questa celebre fotografia di Steve McCurry che fece il  giro del mondo, raccontandoci un mondo, quello afghano, con maggior potenza di tanti reportage. Era il 1984 e la “Ragazza afghana”, la dodicenne orfana Sharbat Gula fotografata in un campo profughi di Peshawar, divenne un simbolo dei conflitti afghani.

Perché in quegli occhi verdi e bellissimi, ma ghiacciati, di quella ragazza-bambina c’era il racconto della caduta delle illusioni. Facendo immediatamente percepire, a noi che la guardavamo, non la tristezza ma la resa di quegli occhi. Con la dignità a rendere però sovrana quella ragazza.

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«Sono profondamente rattristato dalle notizie dell’uccisione e del ferimento di civili afgani. Esprimo le mie condoglianze alle famiglie e agli amici di chi ha perso la sua vita, e al popolo afgano che ha sopportato per troppo tempo violenza e sofferenza. Si tratta di un incidente tragico e scioccante che non rappresenta il carattere eccezionale del nostro esercito e il rispetto che gli Stati Uniti nutrono nei confronti del popolo afgano. Il mio pieno appoggio va al lavoro del capo della Difesa Leon Panetta e del generale Allen perchè si faccia piena luce sui fatti e si assicuri , nel più breve tempo possibile, i responsabili alla giustizia».

Barack Obama, Presidente degli Stati Uniti.

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