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i bambini sanno

Liceo. Classe prima. Visione collettiva del docu-film “I bambini sanno” di Walter Veltroni.

Ricezione empatica, profonda, a tratti inaspettata. Così i quindicenni “sdraiati” di Michele Serra, quasi magicamente, rialzano la testa, ridestati forse da quei bambini che da poco sono stati loro. Sollecitati nei precordi da risposte impreviste, sguardi lungimiranti, sorrisi trasparenti. Insomma, apertura al mondo. Talvolta ingenua, talvolta saggia, talvolta critica. Spesso inusitata.

Alla parola “Fine” non tutto si conclude. Come spesso accade fuori dallo schermo. Comincia la decantazione. Nel modo in cui accade con il vino. Che ha bisogno di riposare per dare i migliori risultati.

Ed è al tema proposto intorno a quel film che il “vino” comincia a mostrare corpo e consistenza, rivelando intensità e aroma.

  • Leggendo il titolo di questo film, “I bambini sanno”, viene da domandarsi ma cosa sanno?” – Francesco
  • Si dice che un bambino insegni tre cose ad un adulto: ad essere sempre occupato con qualcosa, ad essere sempre contento senza motivo, e a pretendere sempre con ogni sua forza ciò che desidera.” – Lorenzo
  • E poi arriva l’adolescenza, un “minestrone” ricco di sostanze amare e dolci, quel “minestrone” che rimarrà nello stomaco per tutta la vita.” – Andrea
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banchi1

Qualche settimana fa ho affrontato con la “mia” (antica illusione quella per cui consideriamo sempre un po’ nostre le persone con cui ci intratteniamo…) classe seconda di liceo l’argomento “Poesia”. Complesso, lo so. Ma ogni volta so anche che tale “operazione” (capirete tra poco perché la definisco tale) mi regala albe e tramonti, direttamente sui banchi. Sarà perché la poesia è connaturata a tutti noi viventi, è solo necessaria una levatrice che porti “alla luce” la vita più intima che, interna a ciascuno di noi, già pulsa.

E così ho assistito, ancora una volta, al miracolo della nascita poetica, che è poi la nascita più autentica, profonda,  e animica di ogni essere umano. Perché entra in contatto con le parti più nascoste e potenti del sé.

Dopo aver spiegato ed esemplificato l’acrostico, ovvero quel particolare tipo di componimento, solitamente dedicatario, che porta per ogni verso nelle sue lettere iniziali un nome proprio, ho chiesto a loro di provare a scriverne uno, ricordando di raccontare, attraverso i versi, la persona il cui nome fa acrostico.

Vi riporto qualche esempio, ricordandovi che sono ragazze/i quindicenni, quelle/i che solitamente vengono descritti “sdraiati” e “smanettoni”, cioè nullafacenti, alias nullapensanti.

Fabio, nuotatore fin da bambino, si è raccontato così:

Fin da bambino/Amavo nuotare/Battevo gli avversari/In tutte le gare./Ora son sempre uguale.

Michele, solitamente tranquillo ma attento ad ogni evento, si descrive in questo modo:

Mi/Immergo/Completamente./Ho/Eleganza,/Lentezza/Esagerata.

Assia, con un suo sfaccettato mondo interno, scrive di sé:

Aiutami,/Sono/Sola/In questo/Abominio.

Sebastiano descrive la bellezza di Rebecca:

Rossa/E/Bella/E/Calda/Come la notte/Appena prima che arrivi.

Giada racconta il proprio rapporto con Edoardo:

Eravamo/Due ruote di legno,/Ora/A mala pena/Riesco a/Distinguerti nel mio/Orizzonte di tristezza.

Cosa ne dite? Possiamo ancora definirli nullapensanti?

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